La concezione del lavoro nella cultura ebraica

Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre

La Bibbia si forma attraverso una progressiva stratificazione di testi, tra i quali si nota un'influenza proveniente da più culture. In particolare il mito della Genesi risulta fortemente collegato alla civiltà mesopotamica.

A Babilonia ogni anno viene letto pubblicamente il poema " ENUMA ELIAH ("Quando nell'Alto") che riassume la cosmogonia mesopotamica:

  • Marduk capo dei nuovi dei lotta con la divinità malvagia Tianath e vince facendo a pezzi l'avversario

  • Con i pezzi del corpo dell'avversario sconfitto, Marduk costruisce l'universo

  • La materia si presenta con una connotazione negativa

  • Chi si occuperà del funzionamento della Materia?

  • Viene creato l'uomo, con lo sterco degli dei, per svolgere questa funzione

  • L'uomo è un servo, per il quale il lavoro è il segno inequivocabile della fragilità e dell'umiliazione

Marduk

Il racconto della Genesi può essere letto come il controcanto di questa cosmogonia: il protagonista è Dio. Di cui Israele ha già fatto esperienza nell'Esodo (la Genesi viene prodotta dopo l'Esodo, quindi dopo che gli Ebrei hanno conosciuto Dio come liberatore). Al posto di Marduk c'è Ihwh, il Dio padre, e non padrone, liberatore che dona la terra all'uomo. Ciò che Dio dona è buono in sé: Dio dà una forma possente alla materia con la parola (dabar-parola-azione. La parola è manifestazione dell'essere, così come lo è l'azione). Se la creazione è manifestazione di Dio, e Dio è buono, allora la creazione è buona. Quindi la Terra è un dono per l'uomo, che deve abitarla e curarla per se stesso in rapporto a Dio. Il nostro abitare la Terra deve essere un continuo accogliere il dono di Dio.

In quest'ottica, il lavoro diventa:

  • collaborazione con Dio, nella gratitudine per il dono ricevuto

  •  responsabilità (l'uomo è custode dei mondo)

  • libertà per l'uomo

  • sua dignità

Rapporto Uomo-Dio

L'uomo è interlocutore di Dio. La Genesi ci ha fatto vedere che Dio dà all'uomo il compito di dare nomi agli enti, cioè di fare presa sull'essere. Ora, il lavoro è precetto e obbedienza a Dio in questo senso: è un gradire il suo dono dando a quest'ultimo la sua identità: tutto diventa riconoscibile, compreso l'uomo stesso, che nel lavoro, appunto, riconosce se stesso.
Ecco dunque che il fine del lavoro non è legato all'utilità, al dominio, all'imposizione sul mondo. Il lavoro è un riconoscere la gratuità del dono di Dio, che ha creato come crea un artista, per sovrabbondanza interiore.

 

Se questo riconoscere la gratuità dell'atto creativo di Dio si dà, nell'uomo adulto, in forma di lavoro, per il bambino si dà come gioco. (Teniamo presente che nella cultura ebraica grande è il rispetto per il gioco. Secondo la legge ebraica, il bambino non può giocare fino a quando non compie il rito di passaggio all'età adulta).

Il gioco è l'esperienza irrinunciabile per l'uomo nell'aurora della sua esistenza, perché è la prima grande esperienza della gratuità dell'agire. L'esperienza del gioco si pone come condizione forte perché poi si possa accedere al lavoro senza tradire la fondamentale gratuità del dono di Dio.