SEZIONE CHIMICA

Sommario

1.   Acidi e acidità dei vini
2.     Vino e Acqua
3.     Per la qualità del Bardolino
    ·        La Qualità
    ·        La Qualità chimica
    ·        Il Gusto
    ·        Bardolino oggi, Bardolino domani
4.     La composizione del vino
5.     La fermentazione
    ·      I meriti del microscopio
    ·     La guerra dei lieviti tra Pasteur e Justus Von Lieberg
6.    Nasce la microbiologia
7.     I lieviti impiegati
8.     Ruolo dei lieviti nelle moderne tecniche di vinificazione
9.     Processo della fermentazione tumultuosa verso la fermentazione lenta
10. Lieviti varietali o lieviti transgenici
11. L'alcolicità
    ·        Gli alcoli
12. L'Ebulliometro

 

ACIDI E ACIDITA' DEI VINI
 
Secondo Sörensen il pH è il logaritmo negativo della concentrazione degli ioni idronio liberi. La determinazione strumentale di questi ioni, presenti in una soluzione, si avvale di un metodo potenziometrico. I pH dei vini possono situarsi in ambiti di valori sui 3-3.6 unità, ma quale acidità viene espressa dal pH? Essa viene detta acidità reale per significare la disponibilità immediata degli ioni H+. In tal senso l'acidità reale può essere nettamente distinta dall'acidità titolabile, che si manifesta e viene determinata aggiungendo ad una presa di campione di vino il numero di milliequivalenti di una base necessari per spostare il pH esistente nel vino fino alla neutralità.
 
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I due tipi di acidità visti sopra potrebbero forse essere paragonati rispettivamente a ciò che sono la temperatura e la riserva di calore in termologia. Di norma nel vino ad un'alta acidità titolabile corrisponde anche statisticamente un basso pH, ma su tale relazione incide, oltre alle quantità degli acidi, anche la qualità con la rispettiva costante di dissociazione. n breve il pH del vino condiziona diversi parametri come l'attività di molti microrganismi (pH minore di 3.3 inibizione) l'intorbidamento, la vivacità del colore rosso, la salificazione degli acidi e i diversi caratteri organolettici. E' bene ricordare che il vino è dotato di potere tampone e quindi anche le diverse modificazioni che esso può subire sono poco influenti sul pH. Gli acidi più importanti presenti nel vino sono:

1.  l'acido tartarico ha sapidità decisa e buona stabilità microbiologica;

2.  l'acido malico caratterizza l'acidità delle uve nei periodi prematurativi, è stabile chimicamente ma viene facilmente aggredito da batteri (esempio i malolattici). Ha sapidità decisa con sensazioni di acerbezza.


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VINO E ACQUA
 
Per i profani che si accingono ad introdursi alla conoscenza compositiva del vino, potrebbe risultare sorprendente che la sostanza costituente di gran lunga più abbondante sia l'acqua (88% in  volume).
Del resto il vino trae origine da premesse fisiologiche della vite e, come noto, i viventi su questa terra sono caratterizzati generalmente da un'alta percentuale compositiva di acqua. L'acqua, infatti, è un liquido dotato di grandi possibilità dispersive (solutive) nei riguardi di molte sostanze solide, liquide, gassose. Un'altra fondamentale proprietà dell'acqua è la sua capacità di dissociarsi in ioni idronio e ossidrile.
L'acqua contenuta nel vino può presentare, inoltre, particolari caratteristiche utili per la sua differenziazione. Infatti l'idrogeno può essere sostituito dai suoi isotopi naturali (deuterio, trizio) e conferire una debolissima radioattività naturale al vino dipendente dal trizio che si dimezza ogni 12,3 anni. Questo fenomeno ci consente di stimare o di risalire all'età del vino stesso con una precisione assoluta affidata all'applicazione di un metodo scientifico rigoroso. L'acqua ci interessa anche per ricercare frodi riferibili all'annacquamento del vino. Basta segnalare, quale esempio, i valori di nitrati e di nitriti naturali del vino che possono essere alterati dall'aggiunta di acqua con contenuti diversi di tali sali.
Per quanto riguarda la nostra ricerca l'acqua, pur essendo una sostanza estremamente semplice si è rivelata, in termini ipotetici, assai utile per stimare la qualità del vino.
 
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PER LA QUALITA’ DEL BARDOLINO
 
In un mondo che non conosce frontiere è essenziale guardare alla tradizione per non smarrire la propria identità e in tema di vino sembra essere opportuno riflettere su quegli aspetti fluttuanti che vanno dalla qualità del prodotto al momento rituale del consumo.
 
LA QUALITA’
 
La qualità, di per sé, non è davvero facile da definire; può comunque essere intesa come la sintonia tra vitigno e ambiente, l’intervento tecnologico dell’uomo e il rispetto dell’igiene. L’importanza dell’ambiente per ottenere idonee uve da vino è nota da tempo, forse fin da quando si ha memoria del vino stesso. I Greci apprezzavano i vini di Lesbo, di Chio etc. e li identificavano associandoli al territorio di provenienza ed altrettanto si può dire dei Romani dai quali era assai lodato il vino proveniente dai territori di Falerno. Columella ci illustra vari tipi di uva e attribuisce fondamentale importanza alle “condizioni ideali di clima e di terreno”. Analogo è l’argomentare di Plinio, certo più attento al terreno che alla varietà delle viti (Naturalis Historiae, XIV, 20).
L’importanza del vitigno, quale fattore in grado di conferire al vino caratteristiche sostanzialmente riproducibili per quanto influenzabili dall’ambiente, è acquisizione relativamente recente ed è legata al progredire scientifico degli studi agronomici ottocenteschi. Infatti, il Bardolino si identifica come tale, con chiarezza, solo nell’Ottocento quando si differenzia dagli altri vini gardesani e trova una propria identità nell’universo, piuttosto impreciso, del “rosso Verona”.
Inoltre con Solitro affiora l’esigenza di una precisa personalizzazione del sapore la cui originalità viene espressa non solo dall’ambiente ma anche da particolari vitigni: “la Corva, la Negrera, la Rossera”.
In sintesi la qualità del Bardolino è associata innanzi tutto al territorio di produzione. Se da sempre i vitigni del lago sono apprezzati, solo dal secolo scorso affiora però la consapevolezza di una briosa tipicità che si esprime in un nome: il Bardolino che rimanda a varietà ben individuate come la Corvina, la Rossara, la Negrara e la Rondinella.
 
LA QUALITA’ CHIMICA
 
Le diverse tipologie di vino Bardolino sono caratterizzate dal contenuto di polifenoli e resveratroli. Per mancanza di reagenti non è stato possibile effettuare nel nostro laboratorio l’analisi dei resveratroli mediante HPLC – DAD con il metodo di Mattivi. Tra le varietà che concorrono alla produzione del Bardolino quella che per polifenoli risulta più consistente è sicuramente la Corvina, mentre la Rondinella si situa su valori meno elevati e la Molinara è su bassi valori. La dotazione di protoantocianidine è consistente per i vini prodotti con la Corvina, mentre è meno elevata per la Rondinella e insufficiente per la Molinara. Tutte le varietà hanno una presenza non molto elevata di antociani, con valori medio superiori per la Rondinella. Le differenti dotazioni di questi vitigni sono tali da permettere al produttore di variare significativamente la composizione polifenolica del vino finito. Sembra, quindi, almeno per i composti polifenolici qui presi in considerazione, che le differenze fra i vitigni siano più di ordine quantitativo che qualitativo. Per collocare dal punto di vista nutrizionale ilo vino Bardolino, sappiamo che 1000 – 1500 mg di polifenoli sono valori che si possono ottenere nella frazione estraibile da un chilogrammo di frutta rossa. Dunque l’aggiunta di due bicchieri di vino rosso alla dieta può incrementare l’assunzione di flavonoidi del 40%. I risultati di analisi condotte su un totale di trenta vini rossi Bardolino D.O.C. attualmente al consumo, indicano tenori particolarmente significativi di resveratroli, che spaziano da un minimo di 4,87 fino ad un massimo di 14,90 mg/L. Per quanto riguarda il panorama dei vini rossi, il Bardolino si situa su valori medi e nel contempo presenta una bevibilità ed una gentilezza che ne permettono l’abbinamento con quasi tutte le vivande e quindi lo rendono particolarmente appropriato ad una presenza regolare sulla tavola.
 
IL GUSTO
 
Se è complesso parlare di qualità, altrettanto è mettere a fuoco il concetto di gusto. Hegel, nell' Estetica, ritiene che il gusto sia un senso che si oppone a vista ed udito in quanto non è possibile gustare un oggetto di per sé ma per apprezzarlo è necessario dissolverlo e consumarlo. Il gusto è un senso privo di oscurità, tanto più che la capacità gustativa ha poi a che fare con il conoscere e rimanda pertanto ad un tirocinio di apprendimento e di esperienza. Sapore e sapienza, in breve, hanno molto in comune: come dice Kant " il giudizio di gusto è un' eccedenza del sapere, che non conosce, ma si presenta come piacere, e un' eccedenza del piacere che non gode, ma si presenta come sapere".
Brillat-Savarin afferma che "uno dei privilegi dell'uomo, è bere senza aver sete". Non vi è dubbio che gustare, apprezzare un vino vuol dire, innanzi tutto, incamminarsi lungo il sentiero della cultura; per sedare la sete basta, infatti, l'acqua: all'uomo come ad ogni animale. Quel sapere che, trascendendo i limiti della natura, permette di riconoscere ed apprezzare i sapori, rivela per altro caratteristiche complesse, storicamente mutevoli.
Il Bardolino, che Monelli definisce "salatino, grazioso" facendo notare che "quando invecchia perde l'amabilità", ha in realtà, un'indicazione diversa dal Recioto che si può annoverare fra i vini da meditazione, mentre il Bardolino è un vino da pasto: un vino che ha il profumo della quotidianità dal gusto briosamente lieve che non copre gli altri sapori e si configura pertanto come una bevanda ottimo. Paronetto per dire del Bardolino DOC parla di sapore "asciutto, sapido, leggermente amarognolo, armonico, sottile, talvolta leggermente frizzante" .
Il consumo quotidiano di un vino come questo è anche utile per il mantenimento della salute secondo il codice della dieta mediterranea che riconosce nel consumo moderato di vino un motivo essenziale. Il fascino più profondo del Bardolino peraltro nei suoi lievi profumi che non vincolano a nulla ma armonizzano le più diverse possibilità gastronomiche.
 
BARDOLINO OGGI, BARDOLINO DOMANI
 
Oggi si confrontano due forti modelli dietetici. Da una parte una cucina plasmata sulle esigenze dei neo-nomadi dove non si disdegnano i cibi transgenici e si riserva elettiva attenzione all'apporto calorico. Altro, invece, è il registro di chi si richiama al mondo ed ai valori tradizionali maturati in margine alle fortune dell'agricoltura.
Solo difendendo i valori della civiltà europea anche il bardolino può essere non solo consumato nella zona di produzione ma anche esportato occupando lo spazio che gli compete senza naufragare nel mare indistinto dei sapori, mimando altri vini come si voleva nell'ultimo '800; non si può dimenticare che un gusto si riconosce e si identifica solo per contrapposizione e per differenziazione dagli altri gusti. Solo il dis-gusto raccoglie però facili consensi mentre per promuovere un gusto personalizzato è necessario operare pazientemente per proporre quei modelli, di sapore e di stile, che sono idonei a raccogliere il consenso e mantenerlo per tempi lunghi.
 
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LA COMPOSIZIONE DEL VINO
 
Il vino, secondo la vigente legislazione, è "il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione totale o parziale di uve fresche, pigiate e non, o di mosti d'uva"; pertanto è il tipico prodotto di una biotecnologia, derivando dall'azione di "organismi biologici" sul succo del frutto della vite.
In questi ultimi anni la significativa riduzione degli interventi tecnologici di tipo chimico a favore di quelli fisici in grado di attenuare al massimo l'impatto dovuto al processo produttivo, trova nell'applicazione delle biotecnologie un supporto insostituibile per garantire la naturalità e la genuinità di questa tradizionale bevanda.
Più di un secolo fa, L. Pasteur, secondo il quale il vino "può essere a buon diritto considerato il più sano e il più igienico delle bevande", ha indicato alcune metodologie per ottenere vini sani, conservabili e di buone proprietà organolettiche.
la composizione del vino è molto complessa e varia; dipende essenzialmente: dalle tecniche di coltivazione, dalle caratteristiche pedologiche della zona e dall'andamento climatico, dal tipo di flora che presiede i fenomeni fermentativi e dalle tecniche di vinificazione, stabilizzazione, conservazione e confezionamento.
Per la sua particolare e varia composizione, il vino non può essere considerato un vero e proprio alimento, ma un importante "adiuvante dietetico", che se consumato in dosi moderate e ragionevoli può essere ingerito con profitto, specie durante i pasti, da individui in normali condizioni di salute senza rischi per l'organismo.
I progressi compiuti in questi ultimi anni hanno permesso di rilevare la presenza nel vino di ben oltre 2000 composti organici ed inorganici in parte derivati dall'uva, ma soprattutto formatisi dalle reazioni collegate con il fenomeno fermentativo e/o durante la conservazione. I principali composti inorganici sono costituiti da: acqua (80-90 %); sostanze minerali (g 1,5-4,0 ‰): solfati, fosfati, cloruri, nitrati, silicati, etc.; potassio, calcio, magnesio, sodio, ferro, manganese, boro, alluminio, etc.; anidride solforosa (endogena ed esogena) il cui contenuto totale massimo legale è: vini rossi 160 mg ‰ - vini bianchi e rosè 210 mg ‰ ; idrogeno solforato (di norma assente o in tracce); anidride carbonica (0,01 - 0,10 %); ossigeno (tracce).
Nella tabella che segue, sono riportate schematicamente le varie strutture chimiche e i relativi gruppi funzionali dei composti organici più importanti:

COMPOSTI GRUPPI FUNZIONALI
Lineari
Ramificati
Ciclici:  Aliciclici (non aromatici)
            Con anello aromatico
            Eterociclici
Alcolici
Carbonili
Carbossili
Eteri
Esteri
Acetali
Emiacetali
Ammine
Ammidi
Aminoacidi
Terpeni
Composti azotati, Solforati, Fosforati

Il prodotto principale della fermentazione alcolica del mosto, è notoriamente l'etanolo che quantitativamente è il secondo componente dopo l'acqua. Seguono: il glicerolo, i carboidrati, le destrine, le pectine (dalla loro idrolisi durante la fermentazione si formano piccole quantità di metanolo), gli acidi organici (tartarico, malico, citrico, succinico, lattico, acetico, piruvico, chetoglutarico, formico, propionico, butirrico, gluconico, glucuronico), gli alcoli superiori e l'acetaldeide.
Fra i composti organici, molto importanti sono i composti fenolici. Per quel che concerne le proprietà antiossidanti, anticarcinogeniche e antibatteriche di questi componenti delle uve e dei vini, i composti più significativi sono i flavonoidi (catechini). I polimeri dei flavonoidi, comunemente chiamati tannini, sono formati dalla polimerizzazione di due o più molecole elementari di flavonoli.
Le sostanze aromatiche si suddividono in clonali, prefermentative, fermentative e postfermentative; sono costituite principalmente da alcoli superiori, aldeidi, chetoni, esteri, acetali, fenoli, terpeni, lattoni, composti azotati e solforati, ecc.
Nel vino esistono anche alcune sostanze colloidali, quali: proteine, enzimi, pectine, gomme, mucillagini, polisaccaridi. Sono inoltre presenti quantità molto basse di acidi grassi, lipidi, steroli, lipoproteine. Le sostanze azotate sono formate da polipeptidi.
 
All'esperto in viticoltura, al microbiologo e all'enologo è demandato il compito del continuo miglioramento della "quantità totale" e della "sicurezza d'uso" del vino a difesa del consumatore; ai clinici, ai nutrizionisti, ai dietologi è invece affidata l'elencazione e la discussione delle proprietà fisiologiche e dei riflessi sulla salute umana di alcuni dei caratteristici composti di questa tradizionale bevanda: in particolare gli aspetti benefici del bere moderato e quelli devastanti e dissociali dell'abuso.
 
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LA FERMENTAZIONE
 

Bevande e alimenti fermentati, nelle loro numerose e svariate forme, dono stati fonte di piacere per gli uomini fin dalla notte dei tempi. La fermentazione della frutta risale anch'essa all'antichità: i Greci ritenevano addirittura che il vino fosse stato inventato da una delle loro divinità, Dionisio. Alcuni papiri egiziani del periodo attorno al 2500 a.C. descrivono già il maltaggio dell'orzo e la fermentazione della birra.
Ma si è dovuto attendere Louis Pasteur che, insieme ad alcuni alunni concentrò la sua att
enzione sulla fermentazione proprio perché una delle principali industrie della regione si basava sulla distillazione dell'alcool delle barbabietole.
Qui la storia e la leggenda si mescolano tra loro. Secondo la tradizione l'interesse di Pasteur verso la fermentazione prende spunto da un allievo, Emile  Bigo, il cui padre, un industriale di Lille, si trovava alle prese con un difetto di produzione: l'alcool ottenuto dalle barbabietole era di scarsa qualità e di sapore acido. Pasteur avrebbe accettato di risolvere il problema e si sarebbe quindi addentrato nel mondo della fermentazione.

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I MERITI DEL MICROSCOPIO

Nell'introduzione alla sua "memoria sull'acido lattico" scritta nel 1857, Pasteur afferma: "In una delle mie recenti comunicazioni all'Accademia delle Scienze, ho stabilito che l'alcool amilico, a differenza di quanto creduto finora, una sostanza complessa formata da due alcool distinti, uno devia il piano di polarizzazione della luce a sinistra, l'altro invece non ha alcuna attività ottica. Ma ciò che da notevole valore a questi alcool nella direzione agli studi che mi sono impegnato a fare è che essi offrono la prima eccezione nota alla legge della correlazione tra emiedrismo e attività ottica. Perciò mi è sembrato opportuno studiare l'influenza del fermento sulla produzione di questi due alcool amilici […]". Pasteur, di fronte al diverso comportamento delle due forme rispetto alla luce non poteva infatti che formulare un'ipotesi che potesse spiegare questa dissimmetria. L'ipotesi era che alla base della produzione dei due alcool ci fosse un processo vitale e che questo dovesse essere in fermento. Per affrontare la nuova sfida ritenne indispensabile ricorrere al microscopio, uno strumento mai usato prima.

 
LA GUERRA DEI LIEVITI TRA PASTEUR E JUSTUS VON LIEBIG
 
Il primo ad osservare al microscopio un lievito, quello di birra, fu Antony Van Leeuwenhoek, che lo descrisse come formato da piccoli globuli, sferici od ovoidali, ma a dare una prima lettura scientifica fu l'italiano Adamo Fabbroni, che nel "ragionamento sull'arte di far vino", nel 1787, scrisse che una materia vegeto-animale del mosto è in grado di indurre a fermentazione nei corpi ai quali si mescola.
Però se Fabbroni è il capofila di coloro che volevano identificare nel lievito l'agente causale della fermentazione, i portabandiera dell'altra sponda, quella della fermentazione come puro fenomeno chimico, in cui il lievito non gioca alcun ruolo, erano ben più importanti; si tratta infatti del padre della chimica Antoine-Laurent Lavoisier e del già citato Von Liebig, fondatore dell'azienda che ancora oggi porta il suo nome e inventore del latte artificiale, dell'estratto omonimo, dei dadi da cucina.
Lavoisier aveva applicato al processo di fermentazione lo stesso metodo che egli aveva permesso di rivoluzionare la chimica del suo tempo, lo aveva cioè descritto come se fosse una formula algebrica. Se si pone su un piatto di una bilancia lo zucchero di partenza e sull'altro l'alcool e l'acido carbonico i due prodotti del processo di fermentazione si ottiene un equilibrio. " i risultati della fermentazione del vino si limitano perciò a separare in due porzioni lo zucchero, che è un acido, ossidandone una a spese dell'altra, per formare l'acido carbonico, riducendo l'altra a spese della prima per formare l'alcool, così che se fosse possibile ricombinare queste due sostanze, l'alcool e l'acido carbonico, si otterrebbe ancora dello zucchero". E' la nota sintesi del pensiero di Lavoisier, per cui "nulla si crea e nulla si distrugge".
Come si vede, in questo processo il lievito non giocherebbe alcun ruolo, perché, secondo il grande chimico francese, se il lievito è riassorbito nella stessa maniera in cui è scomparso, non va tenuto in considerazione. E di questa opinione furono i chimici dell'epoca successiva tra i quali Louis-Joseph Gay-Lussac, il quale si rifaceva all'esperienze di Nicolas Appert, un apprezzato confettiere parigino, che con metodi artigianali aveva messo a punto un sistema per conservare a tempo indeterminato qualunque sostanza vegetale o animale. Inoltre si accorse che il mosto d'uva rimasto per  un anno inattivo entrava in fermentazione solo se si apriva il barattolo. L'aria era necessaria alla fermentazione. Ma lo scienziato tedesco forniva anche una spiegazione diversa: "il lievito di birra e in generale le materie vegetali e animali in stato di putrefazione trasmettono tale situazione ad altre sostanze. E' la parte morta del fermento, la parte che non è più viva ad agire sullo zucchero". Il processo avverrebbe in due fasi , la prima di moltiplicazione del fermento, la seconda di sua trasformazione e morte, è quest'ultima a provocare la fermentazione.
Esistevano posizioni minoritarie riconducibili a due altri filoni di pensiero, gli uni negavano addirittura la vitalità del lievito e si rifacevano alla teoria catalitica di Berzelius, gli altri erano timidi sostenitori della vitalità del lievito e del suo ruolo nel processo di fermentazione, così detti vitalisti.
Secondo Berzelius la fermentazione avviene grazie ad una forza che si trasmette per contatto e scatena il processo.
In questo senso il lievito non è altro che il catalizzatore di questo processo, cui non può essere assegnata alcuna capacità vitale.
 
 
Pasteur nel 1857 dimostra che le affermazioni di Lavoisier e di Von Liebig sono errate. Egli inizia il suo studio ponendo la propria attenzione prima sulla fermentazione lattica poi su quella alcoolica: l'acido lattico era prodotto in grande quantità durante la fermentazione difettosa della barababietola. Ripetendo, in seguito, l'esperimento egli scopre che sopra il gesso e sulle pareti del contenitore si formavano delle chiazze grigiastre. Esaminate al microscopio le chiazze sembrano formate da fibrina e caseina, proteine indicate dai fautori delle teorie non vitalisti come reagenti chimici indispensabili per la fermentazione.
Pasteur ha la felice intuizione di prelevare queste aree grigiastre   e di seminarle; non solo identifica il lievito ma trova anche il modo di coltivarlo. Nella "memoria sulla fermentazione dell'acido lattico" descrive gli esperimenti compiuti e anticipa le tappe future: "Questa fermentazione è un correlato della vita e della produzione di globuli piuttosto che della loro morte o putrefazione, e che non può essere considerato un fenomeno di contatto nel quale la trasformazione dello zucchero non ha luogo in presenza di fermenti che non aggiungono nulla a esso e non pretendono nulla da esso".
Pasteur riesce a dimostrare la vitalità del lievito, a coltivarlo e a riconoscerlo come responsabile della fermentazione. La caseina, l'albumina e le altre sostanze ritenute responsabili per contatto della fermentazione della teoria di Von Liebig passano in tal modo da primattrici a comprimarie, lasciando la scena al fermento il quale trova nutrimento proprio in queste proteine. Dimostra che aggiungendo cloruro d'ammonio o composti azotati complessi come appunto la caseina si osserva la crescita del lievito a spese di queste sostanze nutritive. La presenza dell'acido lattico e acetico, che spiega il gusto acido e l'odore fetido delle botti contenenti il liquido, è del tutto accidentale, dovuta cioè ad una contaminazione da parte del fermento lattico che agisce ostacolando l'azione positiva del fermento alcoolico.
 

NASCE LA MICROBIOLOGIA

Il passo dai lieviti ai batteri è breve e avviene quasi per caso. Pasteur vede un microrganismo mobile nell'acido butirico. Poiché il lievito di birra e quello lattico erano del tutto mobili, Pasteur gli aveva già classificati nel mondo dei viventi, ma tra i vegetali. Il "nuovo" organismo è invece mobile e si moltiplica dividendosi. Lo pone perciò nella categoria degli infusoria e lo battezza animalculum (in seguito vibrione butirrico). Prende una goccia della soluzione scoperta e la osserva al microscopio e nota che il vibrione butirrico vive meglio in assenza di ossigeno. L'ipotesi è rivoluzionaria: l'ossigeno, ritenuto da tutti indispensabile per la vita veniva ora accusato di toglierla, anche se semplicemente a un microbo.
Chiama anaerobi questi organismi che vivono in assenza di ossigeno. Osservando il lievito di birra scopre che vive sia in presenza che in assenza di ossigeno, ma quando c'è l'aria si moltiplica e non innesca la fermentazione, quando invece manca fermenta. Questa scoperta che riporta Pasteur scatena un duello tra lo scienziato stesso e il grande rivale Von Liebig, però non si arriva a nessuna conclusione. Solo alla fine del secolo nel 1897 Hans ed Edwar Bucher scoprono la possibilità di indurre una fermentazione senza la presenza di lieviti. Hanno individuato la zimasi, primo esempi di enzimi, capaci appunto di catalizzare un processo in assenza delle cellule produttrici.

 

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Le biotecnologie sono oggi oggetto di studio anche da parte degli enologi per il raggiungimento della qualità nel proprio vino. La richiesta del mercato infatti spinge alla scoperta di metodi sempre più rapidi per la fermentazione. Un esempio che possa soddisfare questa esigenza di rapidità si ha nell'utilizzo dell'enzima pectolitico nella chiarifica del vino, che sostituisce i bentoniti, le caseine e quant'altro.
Pensiamo poi alle possibilità di riduzione della solforosa quando si utilizzano lieviti e batteri selezionati per evitare l'uso di additivi nell'imbottigliamento. Inoltre il medesimo approccio al vino che prevede una maggiore attenzione alle esigenze del mercato riduce la necessità di intervenire chimicamente per ottenere un vino naturale.
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 I LIEVITI IMPIEGATI
CANTINA DI CUSTOZA:
Via Staffalo n° 30
Custoza (VR)
Lievito saccaromyces cerevisiae VR34
    
Selezionato in azienda e depositato all’istituto sperimentale di ASTI. Di questo lievito non siamo riusciti a venire a conoscenza delle caratteristiche organolettiche e fermentative dal manuale "Biotecnologie 2001".
 
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VILLA MEDICI:
Via Campagnol n° 11
Sommacampagna (VR)

Lievito zymaflore 15F

Selezionatore: facoltà di enologia di Bordeaux

Ceppo: F15-CLIBin corso di registrazione

CARATTERISTICHE FERMENTATIVE
     Buona colonizzazione dell’ambiente.
     Ottima cinetica di fermentazione.
     Buona resistenza agli sbalzi termici ed alte temperature.
     Buon potere alcoligeno (fino a 14.5% vol).
     Elevato rendimento di trasformazione zucchero/alcool.
     Produzione di acidità volatile molto bassa. Alta produzione di glicerolo.

CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE
     Morbidezza e rotondità dei vini ottenuti. Buona struttura, adatto a vini destinati alla maturazione in legno.

PRINCIPALI APPLICAZIONI
     Produzione di vini rossi importati destinati ad essere affinati in legno anche per lunghi periodi.
 
TABARINI DAMIANO E SILVIO:
Via Ossario n° 25
Custoza (VR)

Lievito blastosel FR 95
 
Produttore: USF filtration & Separation
Ceppo: Saccaromyces cerevisiae isolato e selezionato nella Valle della Loira, in Francia.
     Blastosel FR 95 è stato selezionato per l’elevata predisposizione a fermentare a basse temperature, generalmente tra i 16 e i 20 °C, producendo cospicue quantità di esteri etilici senza sviluppare acidità
     volatile. Blastosel FR 95 resiste a concentrazioni di SO2elevate, si adatta prontamente al mezzo di fermentazione e tollera gradazioni alcoliche fino a 13°.
     Potere alcoligeno: 15°
     Resa di fermentazione: 16,5 g di zucchero sviluppano 1° alcool
     Temperatura ottimale: 12-30 °C
     Resistenza alla SO2: molto bassa
     I vini ottenuti con l’impiego di questo ceppo si caratterizzano per una nota aromatica molto intensa a
     carattere prevalentemente fruttato. Come tutti i ceppi aromatici Blastosel FR 95 esprime al meglio la propria
     attitudine alla formazione di esteri in mosti che garantiscono un buon apporto aminoacido.

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RUOLO DEI LIEVITI NELLE MODERNE TECNICHE DI VINIFICAZIONE
 
Diversi studi hanno dimostrato che la fermentazione spontanea di un mosto d'uva è condotta da più ceppi di Saccharomyces cerevisiae. Questa situazione di coesistenza è generalmente presente durante l'intero processo fermentativo; di conseguenza diversi ceppi sono attivi simultaneamente, ma alla fine del processo solo pochi ceppi predominano. Tuttavia la riproduzione di ogni ceppo all'interno della popolazione può variare notevolmente in funzione delle caratteristiche fisiologiche del ceppo.
In riferimento all'influenza di un ceppo varietale di lievito sul processo fermentativo, diversi autori hanno descritto la correlazione esistente tra il tipo del lievito usato e la qualità finale del prodotto, specialmente in termini di composti importanti per l'aroma e il gusto del vino.
Berry e Watson hanno riunito questi composti in cinque classi chimiche: alcoli, esteri, composti carbonilici, composti solforati, acidi organici. Di questi, i composti carbonilici e gli acidi organici hanno un impatto sensoriale minimo, ad eccezione di acetaldeide, di acetile e acido acetico, mentre gli alcoli superiori, gli esteri e i composti solforati contribuiscono in maniera significativa alla definizione dell'aroma del vino.
Studi più recenti hanno mostrato l'importanza del ceppo di lievito nella produzione di enzimi in grado di modificare alcuni composti, precursori dell'aroma, presenti nelle uve e nei mosti. La scelta del ceppo di lievito può infatti influire sulla presenza nel vino di composti molto attivi dal punto di vista aromatico, quali terpeni, fenoli volatili.
Il ceppo di lievito che conduce la fermentazione alcolica è quindi uno dei fattori determinanti per la qualità organolettica e sensoriale del vino, quando mezzo e condizioni di fermentazione sono mantenuti costanti. E' stato, infatti, dimostrato che l'aroma e il gusto del vino dipendono principalmente dal tipo e dalla qualità del mosto e dalle condizioni del processo di vinificazione.
 
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PROCESSO DELLA FERMENTAZIONE TUMULTUOSA VERSO LA FERMENTAZIONE LENTA
 
La fermentazione ordinaria non è solo fermentazione alcolica. Una cosa è la trasformazione dello zucchero in alcool, altra è la trasformazione del mosto in vino. Perché complessa e varia è la costituzione del mosto e varie le attitudini trasformative dei lieviti che su esso operano.
Riferendoci al mosto in esso prendono prevalente sviluppo i lieviti che affiorano numerosissimi sulla superficie delle uve mature. Se ne contano a milioni e tra questi emergono "lieviti ellittici" e "lieviti apiculati". Il lievito ellittico per eccellenza, un tempo chiamato Saccharomyces ellipsoideus è, nelle sue varie razze, il maggiore responsabile del processo, quello che spinge fino al suo ultimo termine la fermentazione, decomponendo gli zuccheri presenti nel mosto fino al 14-15% di alcool. I lieviti apiculati fanno riferimento alla Kloeckera apiculata essendo questa la specie più rappresentativa del gruppo. Essi avviano il processo e sono i maggiori responsabili della formazione degli acidi volatili. Pur avviando il processo fermentativo questi lieviti apiculati non tollerano però oltre il 4% di alcool per cui, su di loro, finiscono per prendere il sopravvento quelli prima ricordati.
Appena l'uva è trasformata in mosto i lieviti presenti si moltiplicano attivamente. Quindi, consumandosi l'aria confinata nel substrato, cessano di moltiplicarsi ed entrano in condizioni di vita anaerobica; a tal punto, allora, comincia a manifestarsi attiva la zimasi, cioè il processo enzimatico che trasforma gli zuccheri in alcool. Consumatasi la quasi totalità di zucchero presente nel mosto ha termine la fermentazione tumultuosa ed ha inizio un altro tipo di fermentazione: la cosiddetta fermentazione lenta. In pratica il passaggio dall'una all'altra è segnato dalla svinatura.
E' necessario, in un primo tempo, sterilizzare il mosto, il che si ottiene con un moderato riscaldamento mediante la pastorizzazione, oppure mediante la centrifugazione, filtrazione o trattamento chimico. Quest'ultimo è quello più usato e per esso si impiega l ' acido solforoso che si aggiunge al mosto in determinate quantità sotto forma, in genere, di solfiti o bisolfiti.
 Il problema microbiologico fondamentale della fermentazione vinaria consiste nell'assicurare il regolare svolgimento del processo e la fissità delle caratteristiche del prodotto mediante lo sviluppo di determinate razze accuratamente scelte.
In tal modo è sorto il problema e poi l' uso, per merito di Hansel, dei fermenti selezionati applicati in fino al 1888 in Francia a cura di Marx e Martinand e 1889 in Germania ad opera di Wortmann.
Nonostante tutto alla fermentazione tumultuosa segue, come già detto, la fermentazione lenta. Qui non sono ancora i lieviti che operano bensì batteri lattici che utilizzando l'acido malico presente nel mosto-vino lo trasformano in acido lattico.
 
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LIEVITI VARIETALI O LIEVITI TRANSGENICI?
 
La selezione dei lieviti per l'enologia è cominciata poco più di 100 anni fa e si è articolata in diverse fasi di lavoro:
1.     Individuazione della specie più idonea alla fermentazione del vino;
2.     Selezione di ceppi naturali in possesso di caratteri migliori;
3.     Miglioramento dei ceppi mediante i metodi della genetica classica ossia incroci;
4.     Ottenimento di ibridi interspecifici sterili.
 
Attualmente l'ingegneria genetica sta realizzando numerosi lieviti transgenici per l'enologia, ma, anche se i risultati sono suggestivi, nessuna coltura per la vinificazione è stata impiegata per usi produttivi. Di seguito vengono riportate le finalità per la ricerca del transgenico.
La metodologia del DNA ricombinante è stata applicata in Saccharomyces cerevisiae al fine di costruire ceppi con prerogative di importanza enologica.
I caratteri tecnologici, che rendono prevedibile e programmabile l' andamento ed i risultati delle fermentazioni sono i seguenti:

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INCREMENTO DELL' ASSIMILAZIONE AZOTATA.
I mosti sono spesso carenti di composti azotati, questo stato di cose determina difficoltà fermentative specialmente nell' ultima fase, con anche casi di arresti di fermentazione.

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TOLLERANZA VERSO IL RAME.
Il rame è uno dei metalli dotati di azione inibitrice verso i lieviti. Fogel e Henderson hanno determinato un aumento della resistenza a questo elemento per integrazione del gene CUP1 in Saccharomyces cerevisiae.

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S. CEREVISIAE CON ATTIVITÀ ANTIBATTERICA.
I batteri che hanno sviluppo nel vino sono gli acetici e i lattici, i primi sempre sgraditi, i secondi sono sgraditi soltanto in alcuni casi. Per prevenire danni derivanti da questi sono stati costruiti ceppi capaci di produrre batteriocine o lisozima.

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AZIONE SULLE SOSTANZE PECTICHE.
Nei mosti sono presenti diversi polisaccaridi che possono agire negativamente sulla stabilità dei vini. Particolarmente rischiosi sono le sostanze pectiche che rappresentano circa il 50% delle sostanze colloidali presenti nei mosti e contribuiscono ad aumentare la viscosità e quindi a ritardare l'illimpidimento spontaneo.
 
I caratteri di qualità sono i seguenti:

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S. CEREVISIAE CAPACI DI FERMENTAZIONE MALOLATTICA.
L'ottenimento di ceppi di S. cerevisiae capaci di dare origine alla fermentazione malolattica durante la fermentazione alcolica rendono inutile il ricorso a batteri lattici che, come è ben noto, è di difficile controllo e molte volte non si riesce ad avviare.

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S. CEREVISIAE CON ATTIVITÀ beta-GLUCOSIDASICA.
I monoterpeni svolgono un ruolo molto importante nel conferimento delle caratteristiche aromatiche dell'uva e dei vini e che questi composti sono presenti in massima parte come glicosidi.

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AUMENTO DELLA PRODUZIONE DI ESTERI VOLATILI.
Gli esteri degli acidi acetico e lattico che si formano durante la fermentazione alcolica non hanno importanza univoca ai fini del conferimento della qualità dei vini. Ceppi dotati della capacità di conferire il profumo di fruttato nei vini per l'aumento della produzione di etile- acetato, isoamile acetato e beta-feniletile-acetato sono stati costruiti mediante la sovra-espressione del gene acetiltrasferasi.

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AUMENTO DELLA PRODUZIONE DI GLICEROLO.
Il glicerolo è il principale sottoprodotto della fermentazione alcolica; per molti vini, la presenza di più alte quantità di questo composto è gradita agli effetti del conferimento di un’adeguata struttura.

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S. CEREVISIAE ACIDIFICANTI.
In molti territori viticoli situati in zone a clima temperato caldo, i mosti sono spesso carenti di acidità fissa che, nel corso della sua fermentazione alcolica, diminuisce ulteriormente. L'obiettivo prefisso è di conferire a S. cerevisiae la capacità di formare acidi fissi.

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PRODUZIONE DI RESVERATROLO.
Il resveratrolo è una sostanza fenolica appartenente alla famiglia degli stilbeni; questo composto può essere sintetizzato ex novo nella bacca e nelle foglie a seguito di infezioni fungine. Da diversi anni questo composto è stato rilevato nei vini (specialmente nei rossi) e gli viene attribuita un'attività di ipoaggregazione piastrinica, un aumento della produzione di colesterolo HDL con conseguente azione cardioprotettiva e azione vasodilatante. Sono attualmente in corso studi per aumentare i livelli di resveratrolo nei vini rossi e bianchi con la costruzione di particolari ceppi di S. cerevisiae modificati.
 
I lieviti selezionati per l'enologia sono richiesti per garantire fermentazioni alcoliche pulite, cioè per dare origine a vini privi di difetti o con gusti e odori anomali, rispettando le caratteristiche proprie dei vitigni. Lieviti varietali di questo tipo sono già stati ottenuti con metodi di selezione tradizionali nell'ambito delle specie del genere Saccharomyces, mentre i ceppi di lieviti ottenuti mediante la tecnica del DNA ricombinante non sono utilizzati per la produzione del vino, e quindi non devono destare allarmismo per il consumatore.

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L'ALCOLICITA'

 
L'alcolicità del vino è usualmente commisurata al tenore di etanolo, che ne è il costituente tipico. Essa è espressa dal grado alcolico indicato percentualmente in volume, ossia in volumi di etanolo effettivamente contenuti in 100 volumi di vino a 20°C.
I metodi per la determinazione del grado alcolico sono numerosi ed i più usuali appartengono soprattutto a due grandi categorie: quelli fisici e quelli chimici.
Nell'ambito dei metodi fisici i più attuali sono gli alcolimetri, che misurano la massa volumica del distillato, e gli ebulliometri (per l'analisi diretta del vino), che misurano la variazione del punto ebullioscopico.
Nei metodi chimici viene messa a punto l'ossidabilità degli alcoli con speciali reattivi.
In definitiva si può ottenere il grado alcolico del vino moltiplicando per 0.6 il grado zuccherino del mosto.
Chimicamente gli alcoli monovalenti che si trovano nel vino possono essere ascritti alla formula degli alcani sostituendo un'anidride ad un idrogeno. Oltre all'etanolo si possono formare il propanolo, il butanolo, il pentanolo e l'esanolo.
 
GLI ALCOLI
 
Con il nome di alcool o spirito di vino viene indicato l'alcool etilico, cioè la sostanza più abbondante nei vini dopo l'acqua.
 
Alcool etilico o Etanolo:
È l'alcool tipico prodotto dalla fermentazione del mosto d'uva ed in genere da tutti gli zuccheri fermentescibili per opera dei saccaromiceti. L'etanolo presenta inoltre fondamentali caratteristiche nei riguardi della composizione del vino, in quanto esplica azione solvente e conservante e stabilizza la componente microbica. La resa in alcool etilico è influenzata dal tenore zuccherino dei mosti, dal sistema di vinificazione, dall'impiego di anidride solforosa e di lieviti selezionati. La gradazione alcolica diminuisce con il tempo e ciò è da imputarsi sia alle perdite derivanti dalle varie pratiche enologiche, sia perché durante l'invecchiamento l'alcool può andare in contro a fenomeni di ossidazione ed esterificazione in presenza dei diversi acidi del vino. L'alcool in dose sufficiente nel vino assicura inoltre la sua buona conservazione e lo difende dall'azione deleteria dei microrganismi patogeni.
L'etanolo ha un punto di ebollizione di 78,37°C.
 
Alcool metilico o Metanolo:
Secondo recenti teorie questo alcool si originerebbe dall'idrolisi delle sostanze peptiche e mucillaginose. L'origine del metanolo nei vini non è la fermentazione alcolica degli zuccheri del mosto, bensì la scissione enzimatica di gruppi metossilici che si trovano nelle pectine. L'alcool metilico è presente in maggior quantità nei vini ottenuti con macerazione delle vinacce, rispetto a quelli fermentati in bianco. Naturalmente i vini torchiati presentano sistematicamente tenori un po' maggiori dei rispettivi vini fiore.
Il metanolo ha un punto di ebollizione di 64,5°C.
Lo strumento che abbiamo usato in laboratorio per la determinazione del grado alcolico nel vino è l'ebulliometro. I valori ottenuti dai tre campioni esaminati sono esattamente uguali a quelli riportati sull'etichetta.
 
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L'EBULLIOMETRO

L'ebulliometro è uno strumento destinato alla determinazione esatta della ricchezza alcolica dei vini e dei liquidi alcolici. La sua costruzione è stata regolata in maniera da permettere all'operatore d'ottenere delle osservazioni precise e di rendere facile e pronta l'operazione, alla condizione di attenersi rigorosamente alle precauzioni raccomandate per assicurare la riuscita precisa.

MODO D'ADOPERARE

1.Taratura e misurazione
Versare nel serbatoio dell'acqua sino al livello dell'anello inferiore fissato internamente in fondo alla caldaia. Applicare poi sul serbatoio il coperchio munito del termometro, assicurandolo mediante la chiusura a vite e verificando che il mercurio sia completamente unito nel bulbo.
 
2.Determinazione del grado alcolico
Riscaldare il liquido fino all'ebollizione; quando si scorge il vapore uscire dal buco del refrigerante,
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la colonna del termometro comincerà a salire per poi fissarsi da sé; svitare allora il bottone che ferma la righetta divisa e mettere con la massima esattezza il grado 0 all'estremità della colonna di mercurio, fissando nuovamente la riga avendo cura di chiudere completamente la vite di pressione.
Occorre per maggior sicurezza, prima di spegnere la lampadina, badare che il grado 0 si trovi sempre all'estremità della colonna, perché la medesima spesse volte può oscillare per alcuni istanti; lo scopo di questa operazione è la determinazione dello 0, il quale può variare a seconda della pressione atmosferica.
Ecco il modo di procedura:
A) svitare il coperchio e ritirare il termometro; 
B) vuotare l'acqua e risciacquare l'interno del serbatoio con un po' del liquido da provarsi e vuotare nuovamente, avendo cura che non ne resti traccia nel serbatoio;
C) riempire con il liquido che si vuole assaggiare, sino all'anello superiore interno fissato nel serbatoio, levando la parte esuberante mediante la pipetta annessa allo strumento;
D) piazzare nuovamente il termometro al suo posto e verificare di nuovo il mercurio;
E) riempire il refrigerante con acqua fredda;
F) accendere la lampadina che deve essere piena di spirito a 90°, condizione indispensabile per ottenere una rapida ed esatta operazione.
 Dopo circa tre minuti la colonnina del termometro salirà e si fisserà. A questo punto leggere sulla divisione il grado alcolico del liquido assaggiato.

 

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