Andrea Mattioli (1500-1577)
 
Laureato in Medicina, esercitò la professione a Roma e a Trento. Grande conoscitore di botanica tradusse il testo greco di Dioscoride "De materia medica".
Commentò in modo esaustivo le proprietà del vino come alimento e come farmaco.



Aulo Cornelio Celso

Aulo Cornelio Celso visse nel primo secolo d.C. durante l´impero di Tiberio.
Poche notizie conosciamo sulla sua vita. Da Quintiliano (Inst. orat. X, 1, 124) apprendiamo che aveva fatto parte della scuola dei Sestii. Lo stesso Quintiliano definisce Celso mediocri vir ingenio (Inst. orat., XII, 11, 24), giudizio poco generoso, perché da quello che possiamo leggere emerge invece una personalità di indubbio interesse.
Scrisse le Artes, un´opera enciclopedica dedicata ai problemi dell´agricoltura, della medicina, dell´arte militare, dell´oratoria, della giurisprudenza e della filosofia.
Sono arrivati a noi solo gli otto libri del De medicina, segno evidente dell´interesse nutrito dai Romani per una scienza che, divenuta autonoma grazie ad Ippocrate, col tempo aveva acquisito un grande prestigio culturale.
Celso si sofferma sui contrasti tra la scuola degli empirici, che ritenevano essenziale la ricerca di efficaci farmaci, e quella dei dogmatici, che invece privilegiavano gli studi volti alla conoscenza delle cause delle malattie.
La posizione da lui espressa su tale disputa è sostanzialmente di mediazione tra le due scuole di pensiero: la ricerca di tipo teorica non poteva separarsi, secondo Celso, dall´acquisizione di rimedi capaci di lenire le sofferenze o di curare i mali.
Interessanti le osservazioni che Celso dedica al problema dei rapporti tra paziente e medico, che deve seguire con grande senso di responsabilità la persona a lui affidata.
Gli argomenti trattati negli otto libri comprendono quasi tutti i settori dell´arte medica: le norme d´igiene e la terapeutica sono trattate nei primi due libri, la patologia occupa il terzo libro, il quarto e il sesto; alla farmacologia è dedicato il quinto libro, alla chirurgia il settimo e l´ottavo.
Lo stile di Celso si lascia apprezzare per la sua efficace semplicità, ritenuta indispensabile in un´opera concepita per la divulgazione di conoscenze utili a tutti gli uomini.
 

Caio Plinio Secondo (23 - 79 d.C.)

Plinio apparteneva all'ordine equestre romano e comandò a lungo uno squadrone di cavalleria sul Reno. Ricoprì importanti incarichi amministrativi. Prefetto della flotta di Capo Miseno durante il regno di Tito, egli esercitava ancora questo comando quando trovò la morte, inghiottito dall'eruzione del Vesuvio che seppellì le città campane nel 79 d.C. Per noi, Plinio è soprattutto un enciclopedista le cui straordinarie conoscenze si trovano compendiate nei 37 libri della sua "Storia naturale", vasta indagine (finita nel 77-78) su tutto ciò che esiste in natura, e su argomenti che spaziano dall'arte alla medicina. Plinio nei suoi trattati parla anche del vino retico e della coltivazione della retica in "veronesi agro". Conoscitore del territorio veronese parla di Valpolicella come la "valle dalle molte celle" ossia ricca di cantine vinarie.
 
 
Castore Durante (1529-1590)
 
Medico illustre scrisse l’"Herbario nuovo" ed altre opere di carattere medico- botanico.
Dedica ampio spazio anche alla vite vinifera ed alle sue virtù.
 
 
Ciro Pollini (1782-1833)
 
Professore di botanica a Verona, scrisse la poderosa opera "Flora veronensis" e il "Catechismo botanico" dove descrive in modo approfondito le varietà di viti presenti nel Veronese.
 
 
Francesco Pona (1595-1655)
 
Filosofo e medico veronese scrisse moltissime opere. Nel 1631 pubblicò il "Gran contagio di Verona" e tra i farmaci usati contro la peste parlò anche del vino.
 
 
Gaio Valerio Catullo (84 - 54 a.C.)

Catullo, nelle sue liriche, dimostrò particolare attaccamento al vino, contrariando la consuetudine di quel tempo di consumarlo mescolato all’acqua:
Coppiere che viene col vecchio Falerno versami calici più amari… E tu, via, dove vuoi, vattene, acqua rovina del vino; con gli astemi va a stare. Questo è puro Bacco.
A Roma, dove frequentava gli ambienti mondani ed intellettuali, Catullo ebbe modo di urtarsi con Cesare. La definitiva riconciliazione fra Cesare e Catullo, ci venne descritta, ampliata con un po’ di fantasia, da Giovanni Quintarelli il quale scrisse che Cesare, in occasione del suo passaggio per Verona, venne inviato dal padre del poeta ad un suntuoso banchetto nella Villa della "gens Valeria" sul lago di Garda, a Sirmione. L’illustre ospite venne presto conquistato dal portentoso vino rosso di queste terre. Allietato nell’animo, il generale volle conoscere le origini di questo retico, famoso anche a Roma, ed espresse il desiderio di averne una certa scorta. Catullo morì a poco più di 30 anni.


Gidino da Sommacampagna
 
Colto uomo di lettere, nato probabilmente nel 1325, venne introdotto ancora giovane alla Corte Scaligera dove pare abbia trascorso gran parte della sua vita. Consigliere prediletto di Cangrande II. Gidino fu tenuto prigioniero nel castello Scaligero per due anni i quanto fu sospettato di tradimento.
Il suo "trattato deli Rithimi Volgari" ebbe fra l’altro la considerazione del Giuliari, dotto autore del secolo scorso, il quale lo definì "un vero monumento filologico perché scritto con parole, forme e ortografia tutte proprie dell’antico dialetto veronese".
Fra le varie poesie che Gidino compose, troviamo la "ballata piccola", di totale intonazione bacchica, nella quale vengono posti in rilievo i buoni e i cattivi effetti del vino.
Questa "ballata" è interessante, oltre che per l’inestimabile valore letterario anche per gli ottimi consigli sulla moderazione da usarsi nel consumo del vino.
 
 
Girolamo Fracastoro (1478-1553)
 
Nacque a Verona nel 1479 e morì nella sua villa di Innaffi il 1553. Grazie alla sua fama di medico e scienziato, fu spesso chiamato, per consulti, da grandi personalità del suo tempo e, nel 1545 fu nominato dal Pontefice Paolo III "medicus conductus stipendiatus" del Concilio di Trento. Fu latinista raffinato. Nella sua opera "Omnia", pubblicata nel 1555, è incluso un trattato "De vini temperatura sententia" del 1534. Parlando della composizione del vino descrive "particelle" calde e fredde in chiave prettamente atomistica.
 
 
Louis Pasteur (1822-1895)

Figlio di un conciatore di pelli, studiò all'Ecole Normale Supérieure di Parigi, conseguendo il dottorato in fisica e chimica nel 1847. Le sue prime ricerche furono nel campo della cristallografia. Nel 1854, nominato professore di chimica alla facoltà di scienze di Lilla, Pasteur iniziò a occuparsi di fermentazione, stimolato dalle richieste dei produttori di bevande alcoliche della regione. Gli scienziati dell'epoca ritenevano che la fermentazione alcolica fosse un fenomeno esclusivamente chimico; Pasteur riuscì invece a dimostrare il ruolo essenziale svolto dai microrganismi, e in particolare dal lievito, in questo processo. Scoprì, inoltre, che la riproduzione indesiderata di sostanze quali l'acido lattico o l'acido acetico nelle bevande alcoliche è dovuta alla persistenza di microrganismi di varia natura, tra cui batteri, all'interno di questi prodotti. Grazie a queste scoperte fu possibile elaborare sistemi efficaci di eliminazione dei microrganismi dannosi, che rappresentavano un grave problema economico per l'industria vinicola e birraria. L'estensione di queste ricerche ai problemi di conservazione del latte lo portarono a ideare il processo, oggi conosciuto col nome di pastorizzazione, che consente di uccidere i microrganismi dannosi eventualmente presenti nel latte, portando il liquido a 60-70 °C per breve tempo prima dell'imbottigliamento.
 
 
Lucio Giunio Moderato Columella(*Cadice I sec. d.C. + ?)

Scrittore latino del I sec. d.C. nativo di Cadice (Attuale Spagna) e contemporaneo di Seneca. Fu Tribuno militare e comandò la VI Legione ferrata in Siria. Grande proprietario terriero e appassionato e competente agricoltore scrisse il "De re rustica" , opera in dodici libri intorno all'agricoltura ed all'economia rurale e il "De arboribus". Della prima opera si distingue il X libro, in versi, scritto in conseguenza dell'invito rivolto da Virgilio (Georgiche IV, 148) ai poeti successivi perchè completassero la sua opera trattando della coltivazione dei giardini da lui omessa.
Nulla si sa sia del luogo che dell'anno della sua morte.
 
 
Publio Virgilio Marone (70 - 18 a.C.)

Virgilio nacque ad Andes nei pressi di Mantova, da una famiglia di coltivatori, appartenente alla piccola borghesia locale, romanizzata piuttosto di recente. La sua figura è profondamente contrassegnata dall'infanzia trascorsa in quel paesaggio fresco e pacifico situato sulle rive del Mincio, dove l'allevamento del bestiame e la coltivazione dei campi erano le risorse dominanti, e dove la sua famiglia possedeva una tenuta. La sua formazione ebbe inizio a Cremona, dove frequentò la scuola di grammatica, e dove, a quindici anni, prese la toga virile. Da Cremona si trasferì a Milano e poi nuovamente a Roma, alla scuola del retore Epidio, esponente dell’indirizzo asiano, così chiamato perché di moda in Grecia, uno stile oratorio ricco e brillante, in netto contrasto con lo stile semplice degli oratori classici. Epidio, inoltre, annoverava tra i suoi discepoli i giovani che sarebbero diventati gli elementi di spicco della futura classe dirigente di Roma, fra cui Marco Antonio e Ottaviano. Virgilio, tuttavia, schivo per natura, non aveva talento oratorio, né intendeva perseguire la carriera forense. Abbandonò così la retorica per dedicarsi agli studi filosofici, e in particolare all’Epicureismo, che approfondì a Napoli alla scuola di Sirone. Qui divenne intimo amico di Vario Rufo e Plozio Tucca, che saranno poi i curatori della prima edizione dell’Eneide. Il periodo della sua formazione è dominato, sul piano letterario, dalle personalità di Catullo e di Elvio Cinna (del quale scriverà un elogio discreto nella IX Egloga), e dall'astro nascente di C. Gallo, della sua stessa età. Sedotto e affascinato da questo ambiente, V., quasi certamente, scrive in questo periodo almeno alcune delle composizioni che entreranno a far parte della raccolta oggi conosciuta col nome di "Appendix Vergiliana" (letteralmente: "Aggiunta a V."), nella quale poemi autentici convivono con pastiches di origine incerta. Dopo la morte di Cesare, fra il 44 ed i primi mesi del 43, V. fece ritorno ad Andes, dove ritrovò l’amico della sua giovinezza, Asinio Pollione, che ricopriva l’incarico di distribuire le terre ai veterani. Grazie a lui, uomo sensibile alle arti ed alla cultura, il poeta poté in un primo tempo sottrarre le sue terre all’esproprio: tuttavia, un anno più tardi, mentre era impegnato nella composizione delle "Bucoliche", i suoi campi di Mantova furono assegnati ai soldati di Ottaviano, per i quali si era rivelato insufficiente il territorio di Cremona. V. non dimenticò mai il dolore causato dalla perdita della sua terra, per la quale sentì sempre una viva nostalgia. Entrò a far parte del circolo letterario di Mecenate. Catullo e Lucrezio erano morti da poco e soltanto la poesia alessandrina, coltivata da Cornelio Gallo, conservava ancora un certo splendore, mentre Orazio, che Virgilio stesso presentò a Mecenate, iniziava allora a scrivere le satire. Mecenate ed Ottaviano, il suo referente politico, offrirono a Virgilio una casa a Roma, nel quartiere dell’Esquilino, ma il poeta spesso preferiva ritirarsi a sud verso il mare ed il sole, mentre si dedicava alla composizione delle "Georgiche", compiuta in sette anni (dal 42 al 39 a.C.) Le "Georgiche", componimento didascalico, diedero a Virgilio la fama. L’opera tratta quattro temi: viticoltura, zootecnia, cerealicoltura e apicoltura. Virgilio in questa opera parla del vino retico che posponeva solo al vino falerno, vino molto famoso all’epoca. Virgilio muore nel 19 a.C. a Brindisi dopo aver intrapreso un viaggio in Grecia e in Asia.
 
 
Quinto Orazio Flacco (65 - 8 a.C.)
 
Orazio stesso nelle sue opere, soprattutto nelle Satire e nelle Epistole, ci dà numerose informazioni sulla sua vita. Ad esempio in una satira (II, 1, 34 sgg.) ci dice che nacque a Venosa, tra la Lucania e l´Apulia; il giorno fu probabilmente l´8 dicembre del 65 a.C., come ci dice Svetonio nella sua
biografia di Orazio (Natus est VI Idus Decembris L. Cotta et L. Torquato consulibus).
Suo padre, come apprendiamo in un´altra famosa satira (I, 6, 45 sgg.) era un liberto, un uomo di modesto condizioni che portò il figlio a Roma perché avesse una migliore istruzione. Orazio parla con grande affetto e riconoscenza di suo padre, uno di quegli uomini che dedicano la loro vita ai figli.
Ebbe come maestro il plagosus Orbilius, che non esitava a ricorrere alla maniere forti pur di far leggere ai sui alunni i versi di Livio Andronico. Negli anni dell´adolescenza studiò con impegno i classici greci e successivamente, come facevano tanti rampolli delle famiglie più importanti, si recò in Grecia,
per completare e arricchire la sua preparazione.
In Grecia forse si legò a Bruto, nel cui esercito combattè a Filippi. Quando dopo Filippi poté tornare in Italia grazie all´amnistia concessa ai seguaci di Bruto, frequentò la scuola epicurea di Napoli, dove ebbe modo di conoscere Virgilio e Vario. A Roma, per sopravvivere, esercitò la funzione dello scriba quaestorius, un lavoro paragonabile a quella di un impiegato di segreteria.
Scriveva intanto le sue prime poesie di raccolte (Epodi e Satire) successivamente portate a termine; queste poesie lo resero noto e, nel 38 a.C., fu presentato da Virgilio e Vario a Mecenate: iniziò così con il potente collaboratore di Ottaviano un rapporto di amicizia che, anno dopo anno, si rafforzò sempre di più.
Nel 33 a.C., data comunque non certa, in seguito alla pubblicazione del primo libro delle Satire ottenne in dono da Mecenate, al quale l´opera era stata dedicata, una villa e un podere nella Sabina, tra Roma e Rieti. Apprendiamo da Svetonio inoltre che Augusto gli offì un importante incarico, che il poeta non volle accettare.
Orazio fu comunque sempre geloso custode della sua indipendenza: per la sua libertà (Epist., I, 7) non avrebbe esitato a restituire ogni cosa ricevuta in dono.
In un´ode (II, 17) espresse il desiderio di morire assieme a Mecenate, nello stesso giorno. Le Muse vollero accontentarlo: i due amici, infatti, morirono nello stesso anno, l´8 a.C., a pochi giorni di distanza: post nonum et quinquagesimum diem quam Maecenas obierat, come ci informa Svetonio.