IL VOLO DEGLI UCCELLI

1. L'apparato scheletrico
2. I mammiferi nel volo
  Sauro planante
  I pesci volanti
  Scoiattoli volanti
  Galeopitechi
  Pipistrelli
3. Penne
  Funzioni delle penne
  Tipologia e struttura delle penne
4. Gli uccelli
  Evoluzione
  Storia evolutiva
5. Il volo degli uccelli

 

L’APPARATO SCHELETRICO


Gli uccelli spostano il loro baricentro a seconda che stiano in volo (a) o posati a terra )b). Nel primo caso esso si verrà a collocare sulla veritcale del punto di attacco del corpo sulle ali, nel secondo dovrà consentire al vettore peso di cadere all'interno del poligono d'appoggio descritto dal contorno delle dite dei due piedi. Le parti scheletriche coinvolte nelle due situazioni sono evidenziate dal tratteggio
Nell’evoluzione del cranio degli Uccelli varie ossa hanno subito alcune fusioni secondarie; ciò è derivato dalla necessità di rafforzare una struttura che, per adattamento al volo, era dovuta divenire più piccola e più leggera che fosse possibile. Le ossa per la medesima ragione sono sottili, spesso cave e piene d’aria. Nel cranio, le pesanti mascelle sono state sostitute da mascelle assai leggere, ricoperte da una struttura cornea priva di denti, il becco o ranfoteca.

La testa degli Uccelli è assai mobile e ben bilanciata sia in fase di volo che in condizioni di riposo; essa si articola alla colonna vertebrale mediante un unico condilo occipitale posto sotto il cranio, anziché posteriormente ad esso.

La colonna vertebrale è anch’essa modificata sì da permettere un’ampia mobilità del collo e conferire al tempo stesso una notevole robustezza e leggerezza all’animale. Le vertebre della regione cervicale varano molto nelle diverse specie, sia di numero che di struttura; in genere il loro corpo vertebrale ha facce articolari di tipo eterocele, cioè foggiato “a sella”.
Le vertebre toraciche nella generalità degli Uccelli sono di numero ridotto(da 3 a 10) e le più anteriori di esse per lo più sono fuse fra di loro a formare un rigido notario od osso dorsale. Solo due o tre vertebre toraciche posteriori, rimaste immobili, si articolano con il sinsacro; quest’ultima struttura scheletrica deriva dalla rigida fusione delle vertebre lombari, sacrali e delle prime vertebre caudali.
Come conseguenza di questa fusione fra più vertebre il sinsacro, che si salda il cinto pelvico, diviene una parte dello scheletro al tempo stesso robusta, immobile e leggera.
Nella gabbia toracica, ciascuna costa è provvista di un processo uncinato diretto caudalmente, che si sovrappone alla costa successiva.
Lo sterno, negli Uccelli, è molto grande e nelle forme volatrici porta sulla linea mediana ventrale una espansione a forma di chiglia, la cresta dello sterno, che dà vasta inserzione ai muscoli del volo.
Gli Uccelli che ne sono provvisti sono detti carenati in contrapposto ai ratiti,che hanno sterno piatto e non sono volatori.
Il cinto pettorale è il cinto pelvico il quale comprende centralmente un osso particolare detto farcela, che deriva dalla fusione delle due clavicole sulla linea mediana ventrale.
Negli arti posteriori la fibula è ridotta a un semplice vestigio bastoncellare; la tibia e la serie prossimale delle ossa del tarso sono fuse a formare in unico osso allungato, il tibitarso, mentre la serie distale delle ossa del tarso ed i metatarsali sono riuniti in un unico tarso-metatarso, detto anche osso della corsa.
Gli Uccelli sono digitigradi, cioè si muovono poggiando sul terreno solo le dita dei piedi, che variano in numero da 4 a un minimo di 2. l’orientazione di queste dita varia a seconda cella specie in rapporto con il loro adattamento a vari generi vita.
Nella maggior parte degli Uccelli, il primo dito del piede è diretto all’indietro; delle altre dita, o tutte e tre sono dirette in avanti, oppure il secondo e il terzo sono dirette in avanti e il quarto indietro.
In tutti gli Uccelli molte delle ossa sono cave e le loro cavità sono occupate da vesciche aerifere , in continuazione con le sacche aeree dei polmoni.

Una struttura tubolare è, al tempo stesso, più leggera e altrettanto robusta che una struttura della stessa forma, delle stesse dimensioni e costruita con gli stessi materiali, ma priva della cavità interna; per le identiche ragioni le ossa cave degli uccelli riducono il peso dello scheletro, senza diminuire la solidità e senza bisogno che ne siano ridotte le dimensioni.Un sistema di travature interna che attraversa le cavità delle ossa degli Uccelli ne accresce, del resto, la robustezza; tale apparato di rafforzamento delle ossa assomiglia a quello adoperato in aeronautica per accrescere la robustezza degli aeroplani, senza aumentare il peso eccessivamente.
Oltre alla perdita di peso, anche altre modificazioni nelle proporzioni delle varie parti costituiscono un efficace adattamento dello scheletro degli Uccelli alla funzione del volo nell’atmosfera.

Struttura delle ossa negli ucelli, confrontata con l'impalcatura di sostegno dell'ala di un aereoplano. A. Sezione di un osso lungo. B. Sezione di un osso del cracnio. C. Sezione attraverso l'ala di un aereoplano.

Ciò significa che deve scomparire la lunga pesante coda di tipo rettiliano e che le parti posteriori del corpo debbono comprimersi e spostarsi in avanti.
Poiché d’altra parte, allo stato di riposo o durante la locomozione sul terreno il peso del corpo deve essere invece sostenuto dagli arti posteriori, anche questi debbono essere inseriti al livello del centro di gravità.


 

 

I MAMMIFERI NEL VOLO

SAURO PLANANTE

Nelle foreste del Sud-est asiatico e dell’India vivono alcuni sauri arboricoli noti come draghi volanti
Non più grande di 20cm presenta un aspetto scialbo, anche se quando attaccato o disturbato assume un aspetto degno del proprio nome, stendendo a ventaglio un insospettato paio d’ali colorate di nero e arancione e lanciandosi nel vuoto riesce a planare fino a 15m, mettendosi in salvo su un altro albero.
Questo sauro planante è attualmente l’unico rettile alato esistente. Le sue ali sono costituite da ampie membrane che si estendono dagli arti anteriori a quelle posteriori e sono sostenute da sei costole flessibili che si protendono ai due lati del corpo.
Morfologicamente queste ali non assomigliano molto a quelle degli pterosauri , i rettili planati vissuti fino a circa 70milioni di anni fa.

Per i sauri planati, arcaici o attuali, il volo planato può essere considerato un adattamento secondario, utile per sfuggire rapidamente a un pericolo, ma non fondamentale o abituale come mezzo per procurarsi il cibo o per spostarsi.
Questo tipo di cambiamento rispetto a un modo di vita fondamentale, che non può instaurare un nuovo modello, si è verificato così spesso in diversi gruppi di animali da meritare una specifica denominazione: radiazione adattativa.

Geco volante ara ararauna

I sauri volanti sono un esempio di radiazione adattativa. Un altro esempio sono le iguana delle isole Galapagòs , specie marina derivata appunto dalle iguana; queste iguana seguono lo stesso cammino percorso probabilmente di loro predecessori, ed è possibile che, col passare dei millenni, adottino anch’esse una vita totalmente marina.
Alla stessa stregua, i sauri planati possono venir considerati come potenziali conquistatori dell’aria.
Molti altri animali hanno sviluppato la capacità, se non di volare, di planare, spesso determinata dalla necessità di fuga.

 

I PESCI VOLANTI

Per esempio i pesci volanti, che in tutti i mari caldi sono preda di pesci più veloci di loro, si salvano uscendo dall’acqua con voli di quasi 200m.
Il pesce volante, inseguito, si mette a nuotare ad alta velocità verso la superficie del mare, tenendo le pinne strette contro il corpo e, al momento di proiettarsi nell’aria, allarga la pinne pettorali quasi perpendicolarmente al corpo. La testa si solleva e la coda batte rapidamente sull’acqua, sospingendo in avanti il pesce.

Raggiunta una velocità sufficiente, il pesce allarga anche le pinne ventrali e plana qualche decina di centimetri sul livello dell’acqua a una velocità di circa 15-16km l’ora. Infine il pesce perde velocità e la pinna caudale ricade nell’acqua, ma il volo può ricominciare grazie a una nuova fase di vigorosi battiti di coda. In tal modo, il pesce volante riesce, in varie riprese, a percorrere 400-500m restando fuori dall’acqua per oltre quaranta secondi.
I pesci volanti si lanciano nell’aria soprattutto per sfuggire ai predatori.

 

SCOIATTOLI VOLANTI

I più grossi mammiferi plananti sono alcuni scoiattoli giganti asiatici, che possono misurare 1,20m dalla testa alla punta della coda. Sarebbero in grado di coprire quasi 500m planando su correnti d’aria che salgono da una valle. Possono virare durante il volo servendosi della folta coda come timone, e anche innalzarsi alla fine della planata, senza effettuare battiti per guadagnar quota.
Scoiattolo volante graucomys sabrinus

Il loro patagio, cioè la membrana utilizzata per planare, è costituito di una duplicatura della pelle che congiunge gli arti anteriori con quelli posteriori, i quali, mantenuti allungati nel volo tengono perfettamente tesa la membrana.
Al mondo esistono 37 specie di scoiattoli volanti, tutte notturne; quelle nordamericane sono più piccole delle loro affini asiatiche.

 

GALEOPITECHI


I galeopitechi sono mammiferi; vengono anche chiamati lemuri volanti, pur non essendo lemuri e provengono dall’Asia meridionale e dall’Indonesia.
Vivono quasi perennemente sugli alberi e possono coprire circa 150m con un unico volo planato, perdendo soltanto una decina di metri di quota.
Le pieghe cutanee, che uniscono le zampe e che vengono distese per planare, sono talmente voluminose da rendere l’animale praticamente indifeso al suolo

 

PIPISTRELLI

Mentre gli uccelli confermavano la loro padronanza nell’aria, i mammiferi diventavano i vertebrati terrestri dominanti, quindi non restava loro molte possibilità di sviluppare il volo; tuttavia, un piccolo gruppo, i pipistrelli, cominciò a sollevarsi da terra, di notte, alla ricerca di insetti.
Le ali dei pipistrelli, in origine, erano probabilmente semplici membrane atte a planare, ma, in tutte le specie conosciute, sono sostenute da quattro dita dell’arto anteriore pentadattilo (soltanto il pollice escluso) ; si estendono lungo i lati del corpo fino agli arti posteriori e, generalmente, fino alla coda, lasciando liberi i piedi.

La membrana alare, detta patagio, è una duplicatura cutanea, composta di uno strato di pelle nuda. Spesso trasparente e facilmente danneggiabile, il patagio è irrobustito dall’intelaiatura formata dalle ultime quattro dita allungate. Il pollice, libero e mobile, è armato di un artiglio con il quale il pipistrello si aggrappa quando si posa. L’apertura alare varia dai 15 ai 90 cm.
Lo svolazzare nelle tenebre, che a prima vista sembra senza scopo, è, in realtà, un sistema abilissimo per catturare le prede.
Pur avendo cominciato a volare tardi, i pipistrelli sono insuperabili di notte come gli uccelli lo sono di giorno.

Vespertilio volante

 

 

PENNE

FUNZIONI DELLE PENNE

Il piumaggio di un uccello svolge svariate funzioni. Gli uccelli sono omeotermi e pertanto hanno necessità di mantenere costante la temperatura corporea variare delle condizioni ambientali. Il piumaggio funziona allo stesso modo della pelliccia, proteggendo il corpo dal sole, dal freddo, dal vento, dalla pioggia e fornisce anche una certa protezione contro le lesioni. Il piumaggio dà la forma a il profilo dell’uccello, che costituisce un elemento importante in fase di volo.

 

TIPOLOGIA E STRUTTURA DELLE PENNE


Struttura delle penne
Il numero delle penne di un uccello dipende principalmente dalla sua dimensione. Ne possiamo contare 1500 nelle rondini e 2500 nel cigno minore.
Lo sviluppo delle penne inizia sotto forma di una piccola papilla ispessita dallo strato germinativo dell’epidermide, al di sopra di una papilla dermale, nel derma sottostante.


Questo abbozzo della penna si approfondì nella pelle a formare un follicolo. Lo strato corneo dell’epidermide, entro il follicolo, si differenzia direttamente nella penna, mentre alla sua base la papilla dermica ne continua a costruire il centro trofico, necessario all’ulteriore accrescimento.
Esistono penne copritrici e penne remiganti. Nelle penne copritrici il vessillo non è legato da amuli come nelle remiganti, ma sono embricate le une sopra le altre in modo da costituire una copertura continua sul corpo.

Al di sotto delle copritrici si estende il piumino, costituito da un intrico di lunghe e sottili barbe barbule portate sia dalla parte più profonda del vessillo delle copritrici, sia proprie di particolari formazioni, le piume, nelle quali dal calamo (lo stelo alla base della penna) prende origine un fiocco di lunghe barbule e barbe (filamenti principali che possiedono ramificazioni laterali filamentose).

Le ali dei Lepidotteri Pteroforidi sono divise in segmenti piumati, generalmente due in quelle anteriori e tre in quelle posteriori. Durante il volo, come mostrato in A, le piume sono distese come le dita di una mano. In riposo, alcune specie sono in grado di ripiegare assieme le piume, che così vengono ad assomigliare ad un bastoncino. B, C e D illustrano il complesso procedimento che permette di raggiungere questo ripiegamento. Le frange di peli che rivestono i segmenti alari sono state omesse per chiarezza. Il fusto di ciascuna piuma è appiattito e leggermente inclinato, come mostra lo schema di una sezione trasversale dell'ala, sulla destra. Le piume I e II dell'ala anteriore sono divise da una piega, che corrisponde al solco clavale delle ali che troviamo nella maggior parte degli insetti. Una piega simile si forma tra le piume III e IV dell'ala posteriore, assieme alla grande flessibilità delle loro basi,permette loro di ripiegarsi assieme come un calibro a lame per meccanici o come un set di chiavi disposto intorno ad un anello. questo processo viene illustrato in B. Il risultato è che la piuma III viene a giacere in mezzo alle piume IV e V, sistemate rispetivamente sopra e sotto. Le piume ripiegate dell'ala posteriore vengono poi portate avanti, e richiuse tra le piume I e II delle ali anteriori. Il fascio che ne risulta è solo una frazione della larghezza dell'ala pienemente distesa.



Analisi delle penne

Anali al microscopio delle penne


Questa formazione viene a costituire, tra copritrici e superficie del corpo, uno strato termoisolante formato da una sorta di soffice feltro corneo che imprigiona un esteso strato d’aria.
Le setole sono formate da una rachide (stelo posizionato fra le due serie di barbe) rigida nuda o con solo poche barbe vicino alla base e in genere si trovano intorno agli occhi e agli angoli della bocca.
Il piumaggio visibile degli uccelli adulti è rappresentato dalle penne di contorno. Queste possiedono una rachide ben sviluppata con le barbe legate fra di loro a formare una lamina piana, il vessillo.


Sono confrontati, riportando ad egual lunghezza l'autopodio, gli scheletri dell'ala di un albatro e di un colibrì; si noti che nel gran veleggiatore i due settori prossimali sono iper-sviluppati, mentre nel colibrì che attua un particolarissimo volo battente si osserva un grande siluppo relativo alla parte distale.

Raccolta di piumaggi

Allo stato attuale esistono cinque tipi principali di penne.

1- PENNE DI CONTORNO Ricoprono l’esterno del dorso, i lati del corpo e la maggior parte dell’ala. Tipicamente constano di un asse centrale , lo scapo, di cui la parte basale, infissa nel follicolo cutaneo, è detta calamo, mentre la parte libera, che porta il vessillo della penna, è detta rachide. Il vessillo è costituito da barbe o rami che si estendono paralleli ai due lati del rachide e ciascuno di essi è fornito a sua volta da barbule e raggi che se ne dipartono lateralmente da ambo i lati. Le barbule del lato della barba rivolto verso la punta della penna sono provviste alla loro superficie di uncini od amuli, che si ingranano alle barbule del lato opposto della barba contigua. Le barbule così ingranate danno forte consistenza al vessillo. L’uccello, inoltre, è in grado di farle reingranare fra di loro nel caso in cui, passando con il becco sulle penne, si siano disingranate. Le penne dette copritrici primarie sono inserite nella porzione dello scheletro dell’ala che corrisponde alla mano. Nelle primarie esterne la larghezza della lamina esterna è tre o più volte maggiore di quella della lamina esterna. Le primarie interne, invece, hanno le due lamine del vessillo che possono essere di ampiezza pressoché uguale in alcune specie. La parte dell’ala corrispondente all’ avambraccio sostiene le copritrici secondarie che possono essere da 9 nella maggior parte degli uccelli arboricoli, a 40 nell’Albatros urlatore. Le secondarie più interne spesso costituiscono un gruppo distinto di penne denominate terziarie. Le terziarie dislocate in prossimità dell’articolazione del gomito stanno una sull’altra e rinforzano la zona terminale interna dell’ala. La maggior parte delle specie ha 3 o 4 penne inserite nel residuo del pollice che formano l’alula. Alcune specie hanno appena 2 penne, mentre altre possono averne anche 7. talvolta ci sono una o due copritrici secondarie maggiori in più del numero delle secondarie. Più arrotondate e più morbide delle copritrici primarie, esse sono visibili quando l’ala è piegata. Le copritrici medie e minori coprono la rimanente parte della faccia superiore dell’ala. Una disposizione simile di copritrici inferiori si osserva sulla faccia inferiore dell’ala. Le scapolari si sviluppano nella regione della spalla. Esse coprono l’ala piegata, mentre in volo chiudono lo spazio fra il corpo e l’estremità interna dell’ala. Nelle specie europee, le penne caudali principali o timoniere sono da 10 nell’Usignolo di fiume e nel rondone a 24 nel cigno reale. Le timoniere sono spesse al livello dell’apice. Quelle centrali si presentano molto dritte e simmetriche se osservate dall’alto. Di lato si vede che il calamo è leggermente rivolto verso il basso. Il vessillo tende a essere fortemente convesso. Le copritrici superiori e inferiori della coda riempiono il punto di passaggio tra la sagoma del corpo e la coda.
2- PIUME Sono penne più piccole, generalmente collocate sotto alle penne di contorno. Per lo più sono prive di rachide e le loro barbule mancano di uncini.
3- SEMIPIUME Hanno caratteri intermedi fra penne di contorno e piume. L’ordinamento delle parti è simile a quello delle penne di contorno, ma le barbule mancano di uncini, per cui il vessillo è del tutto incoerente e l’aspetto assomiglia a quello delle piume. Le semipiume in genere si trovano sui lati e sulla superficie ventrale del corpo.
4- FILOPIUME Sono come peli sottili, talvolta dotate di un ciuffo di barbe. Esse facilitano all’uccello la sistemazione delle penne esterne durante le operazioni di lisciatura delle penne. Sono disposte a cerchio alla base delle penne di contorno e hanno l’aspetto di penne regredite. Ne è ignoto il significato funzionale.
5- PIUME DEL POLVERINO Sono penne che non sono soggette a muta, ma crescono continuativamente alla loro base e si disintegrano alla estremità, dando origine ad un fine materiale pulverulento simile al talco, impermeabile all’acqua. Queste piume sono disposte in gruppi, addensate alla superficie ventrale del corpo, negli aironi e nei tarabusi; nei pappagalli e nei falchi invece sparpagliate su tutto il corpo.

Le penne sono soggette ad un ciclo stagionale di sostituzione. Di norma la muta delle penne è un processo graduale, per cui il loro numero resta sempre sufficiente a permettere il volo; ma alcune specie rimangono temporaneamente a pelle nuda. Dopo la nascita, la lanugine (o piumino) neonatale viene ben presto rimpiazzata da un piumaggio giovanile; in seguito, le successive mute delle penne danno origine al primo piumaggio invernale, al primo piumaggio nuziale e poi il secondo, e così via.


Cigni di Gonzales
(clicca per ingrandire)

 

 

GLI UCCELLI

EVOLUZIONE

Molti gruppi di rettili si sono evoluti verso un tipo di locomozione bipede.
Gli arti anteriori sono stati esonerati dalla loro partecipazione al movimento, prima di modificarsi ed adattarsi ad altra sorta di attività. Non vi è pertanto, alcun dubbio che gli uccelli siano derivati da un gruppo di rettili che avevano assunto locomozione bipede. Infatti, le gambe e i piedi degli uccelli sono coperti da tipiche squame cornee di struttura rettiliana e l’apice delle dita è provvisto di unghie simili a quelle dei rettili.
Per spiegare come sia avvenuta l’evoluzione degli uccelli è state suggerita due teorie principali. Una di queste propone che i componenti di un gruppo di rettili a locomozione bipede abbia contratto l’abitudine di estendere in alto e in basso gli arti anteriori durante la corsa (movimento analogo a quello della gallina); il lieve sollevamento del corpo ottenuto, con questo movimento degli arti anteriori, sarebbe stato di qualche vantaggio, perché avrebbe permesso di accelerare l’andatura. Questa andatura si andò trasformando in una sorta di balzi a volo planato e infine in un vero e proprio volo sostenuto, quando gli arti anteriori divennero autentiche ali. Una seconda teoria (più probabile) ammette che i rettili progenitori degli uccelli fossero animali a vita arboricola, provvisti di arti inferiori fatti in modo tale da rendere agevoli i salti da un ramo all’altro. Presumibilmente i discendenti di tali rettili ancestrali buoni saltatori impararono ad allungare i loro balzi da ramo a ramo, distendendo gli arti anteriori, e gradualmente raggiunsero un volo vero e proprio. Anche i chirotteri (i comuni pipistrelli), che sono mammiferi ad arti anteriori modificati per il volo, ed anche i primati superiori sono discendenti di forme arboricole, i cui arti anteriori avevano perduto un ruolo primario nella locomozione. In Baviera sono stati scoperti i resti fossili di un animale che si può considerare un’autentica forma di transizione tra rettili e uccelli. Si tratta di Archeopteryx, vissuto circa 150 milioni di anni or sono. Molte delle sue caratteristiche scheletriche somigliano a quelle degli uccelli moderni e il suo cranio è chiaramente intermedio tra quello dei rettili e degli uccelli. Di taglia simile a quella di un piccione, doveva avere scarso peso ed era provvisto di penne del tutto simili a quelle degli uccelli di oggigiorno. Le penne della coda erano ordinate in maniera metamerica, un paio per vertebra, e larghe porzioni della superficie del corpo dovevano essere implumi. Le due mascelle, superiore ed inferiore, erano provviste di denti e la forma generale del corpo assomigliava più a quella di un rettile che a quella di un uccello.

 

STORIA EVOLUTIVA

La stretta relazione di parentela degli uccelli con i rettili è testimoniata da numerosi resti fossili.

ARCHAEOPTERYX
Fino a poco tempo fa, il più antico uccello conosciuto era Archaeopteryx, un animale delle dimensioni di un piccione, del quale sono stati rinvenuti in Germania sei esemplari fossili e una penna isolata, tutti risalenti al tardo Giurassico (il periodo compreso tra i 195 e i 136 milioni di anni fa). Il genere unisce caratteristiche tipiche dell'uccello moderno ad altre peculiarità anatomiche dei rettili. Se gli scheletri rinvenuti non avessero mostrato chiaramente impronte di penne identiche a quelle degli uccelli moderni, probabilmente sarebbero stati classificati tra i piccoli dinosauri. In Archaeopterix, infatti, erano ancora presenti i denti, che mancano in tutti gli uccelli moderni, e le vertebre caudali, che non erano fuse come negli attuali uccelli, ma formavano una lunga coda, simile a quella delle lucertole. In un recente studio, tuttavia, un gruppo di ricerca della Oregon State University ha riconsiderato la classificazione di un fossile di rettile rinvenuto nel 1970, Longisquama insignis, e messo in dubbio il titolo di Archaeopterix di più antico uccello conosciuto.


LONGISQUAMA
Longisquama era un piccolo vertebrato a quattro zampe, vissuto circa 220 milioni di anni fa. Era dotato di insolite appendici caudali che, inizialmente considerate dai paleontologi soltanto lunghissime squame (da cui il nome del genere, Longisquama), sono state ora riconosciute come penne primitive. La presenza di penne è sufficiente per classificare un animale tra gli uccelli e quindi per considerare Longisquama il più antico uccello conosciuto. La derivazione degli uccelli dai dinosauri sarebbe quindi messa in discussione: longisquama, infatti, visse prima della comparsa di quei dinosauri da cui fino a oggi si riteneva che si fossero evoluti gli uccelli.

Paleontologia: individuato l'uccello più antico finora scoperto
Giugno 2000
Il 23 giugno 2000 la rivista “Science” ha pubblicato i risultati di una ricerca che retrodaterebbero a 220 milioni di anni fa la comparsa dei primi uccelli sulla Terra. Analizzando i resti fossili del Longisquama insignis, ritrovato nel 1970 da un paleontologo russo e classificato come rettile, un gruppo di paleontologi russi e statunitensi ha determinato che le appendici integumentarie presenti sul dorso del fossile, inizialmente identificate come lunghissime squame, sarebbero ali primordiali. Poiché Longisquama insignis visse 75 milioni di anni prima di Archaeopteryx, finora ritenuto l’uccello più antico, l’ipotesi che non fosse un rettile bensì un uccello appartenente alla sottoclasse degli arcosauri retrodaterebbe la comparsa degli uccelli sulla Terra invalidando inoltre la tesi della diretta evoluzione degli uccelli moderni dai dinosauri.

 

Fossile di Archaeopteryx

Archaeopteryx è considerato il più antico antenato degli attuali uccelli di cui ci sia giunta testimonianza fossile. Vissuto nel giurassico superiore, intorno a 140 milioni di anni fa, conservava alcuni caratteri propri dei dinosauri da cui si era evoluto, come i denti e la lunga coda, ma aveva già acquisito tratti anatomici tipici degli uccelli, come le piume e la capacità di volare. In questo reperto, portato alla luce in Germania, si notano il contorno delle ali piumate (sopra) e la lunga coda (in basso).


Fossile di Archeopterix

 

IL VOLO DEGLI UCCELLI

La modalità di volo più conosciuta è quella detta “ad ala battente”.
Esaminando un’ala spiegata nel suo insieme, si nota che la sua struttura portante, realizzata dalle ossa dell’arto anteriore, è disposta lungo il margine anteriore dell’ala stessa, mentre, posteriormente, si estende la vasta superficie morbida creata dalle penne remiganti. Queste ultime, tuttavia, non hanno le stesse caratteristiche: mentre le remiganti secondarie e terziarie hanno scarsa autonomia di movimento, le remiganti primarie, sostenute dal supporto osseo della mano che può ruotare abbastanza sensibilmente a livello dell’articolazione del polso, possono torcersi in modo che durante il volo in direzione orizzontale battano l’aria contemporaneamente verso il basso e verso l’indietro, in modo che l’uccello si sposti in avanti e all’insù.
L’ala non batte semplicemente dall’alto verso il basso: se così facesse la spinta ricevuta verso l’alto dall’ala che si abbassa sarebbe controbilanciata e annullata dalla spinta che l’ala riceverebbe riportandosi verso l’alto. Gli uccelli invece muovono le ali secondo una ellisse, senza mai interrompere il loro movimento. Dal momento in cui si trovano in posizione quasi verticale sul dorso dell’animale, le ali scendono obliquamente verso il davanti e durante il movimento di ritorno la direzione è opposta. Nella prima fase si ha prevalentemente un fenomeno di innalzamento, mentre nella seconda di avanzamento.
Un tempo si riteneva che la coda avesse una funzione prevalente come timone direzionale, ma da osservazioni più accurate si è potuto concludere che responsabili del cambiamento di rotta sono quasi esclusivamente le ali. La coda tuttavia ha una fondamentale importanza nelle fasi di decollo e atterraggio.

Il volo veleggiato è molto più suggestivo e affascinante, tanto che lo stesso Leonardo da Vinci si estasiò un giorno contemplando le volute di un nibbio sopra le colline della sua Toscana, e che i veleggiatori, assoluti dominatori dell’aria, sono spesso stati eretti a simbolo di maestà o divinità.
Fu la sopravvivenza a orientare il dipanarsi dell’evoluzione verso un perfezionamento integrato di ogni struttura e capacità.

Per quanto riguarda i grandi rapaci che vivevano in regioni montuose o desertiche, asprezza dei luoghi e scarsità di cibo imponevano prolungate permanenze in volo ad alta quota per scoprire e catturare possibili perde. Tra due successive catture potevano anche intercorrere molte ore; la permanenza in volo, pertanto, non poteva che dipendere dalla possibilità di accumulare congrui quantitativi di combustibile e disporre quindi di adeguati volumi. Per gli uccelli era vitale sollevarsi dal suolo con mezzi propri, e l’evoluzione non poté che ridurre progressivamente la taglie degli organismi adatti al volo.
Ai grandi planatori restarono le dimensioni maggiori del regno dei volatili, ma buone riserve di energia dovevano integrarsi con bassi consumi: il corpo si evolvette verso forme di alta efficienza aerodinamica e le tecniche di volo verso il minimo dispendio energetico. La capacità di guadagnare quota senza battito di ali fu un fattore discriminante del processo selettivo ma si crearono differenze tra uccelli marini e rapaci. I primi potevano contare su condizioni costanti di vento sostenuto, i secondi, per salire, dovevano adattarsi a sfruttare le ascendenze, più rare e deboli. Il requisito era quindi duplice: veleggiando, estrarre energia dalle correnti verticali per guadagnare quota e poi utilizzare nel modo più producente l’energia così accumulata, durante la planata.
Un ottimo planatore ha ali molto allungate e di superficie contenuta, mentre per veleggiare in ascendenza occorre salire con lento moto circolare, ottenibile soltanto con grandi superfici alari o basso peso. L’ideale sarebbe stato il poter variare la geometria alare per disporre di superficie ampia nelle fasi di decollo o veleggiamento, riducendola poi, e aumentando l’allungamento, nella planata.
Ottennero questo effetto ripiegando più o meno all’indietro la parte esterna al gomito in modo da sovrapporre una buona porzione delle remiganti. Essendo impossibile invece variare l’allungamento, dovettero prevalere i requisiti dettati dal decollo e dal volo in ascendenza, e l’ala restò meno slanciata di quella dei planatori marini. A basse velocità di volo, ciò avrebbe però prodotto un aumento inaccettabile dei vortici alle estremità alari e questi si sarebbero sommati all’attrito. La natura produsse allora un profilo in sezione dell’ala di aspetto unico: il bordo anteriore è affilato e incurvato, ed è seguito immediatamente, nella faccia inferiore, da una specie di gradino formato dalle ossa del braccio e dal muscolo estensore. Ciò ha la funzione di rendere uniforme e controllato il flusso dell’aria, introducendo una fonte di turbolenza in un punto voluto per impedire che questa si sviluppi naturalmente in modo casuale e inopportuno. Ciò annulla gli effetti negativi dell’attrito. Per ovviare al problema della resistenza dei vortici che nascono alle estremità alari, un terzo dell’ala, nella parte esterna, si compone di penne separate; le tre o quattro anteriori hanno un rachide molto elastico e, in volo, sulla loro estremità agisce un energico flusso che, quando l’ala è tesa, le inflette verso l’alto in modo pronunciato. Ciò ha la funzione di diminuire l’intensità dei vortici.
Così acutamente “progettati”, l’aquila, il falco e i loro simili possono percorrere oltre quindici metri per metro di quota perduto, il che li porta non molto lontani dall’efficienza dei grandi uccelli marini, che non possono però vantare una pari agilità e decolli tanto possenti.
L’ala ampia ed elegante conferisce al rapace anche un controllo pressoché perfetto del suo volo. Piccoli spostamenti della velatura portante rispetto al baricentro gli consentono di equilibrare e dirigere il corpo, mentre la coda interviene solo per il controllo “fine”: per la maggior parte del tempo essa viene tenute ben riunita e tesa all’indietro, e aumenta la penetrazione nell’aria.

Esiste un minimo di velocità di volo, al disotto del quale la turbolenza (e la conseguente resistenza) che si sviluppa dietro l’oggetto è di entità tale da annullare la spinta verso l’alto. Questa è la velocità di atterraggio e l’espediente adoperato da un uccello per atterrare è quello di raggiungere questo minimo di spinta al momento in cui tocca il suolo. Uno dei problemi più importanti nella struttura costruttiva di un uccello è quello di fermarsi in atterraggio e ripartire da terra assai velocemente.
I valori dell'allungamento alare, indicati a destra di ciascuna figura, variano durante le fasi del volo, qui in un avvoltoio: dall'alto verso il basso, volo veleggiato in favore di vento guadagnando quota; contro il vento restando in quota; volo battuto, atterraggio.

La geometria della sezione alare è differente nei vari punti dell'ala; le parti prossimali (sezioni C-C e B-B hanno forma concava che consente maggiore portanza, mentre quella distale (sezione A-A) ha profilo rettilineo opportuno per il volo battuto e la manovrabilità.



Similitudini
A questo scopo, le ali degli uccelli hanno la possibilità di cambiare forma: il margine anteriore dell’ala può essere fornito di un gruppo speciale di penne unite al primo dito dell’ala, formanti una piccola alula (detta anche penna del pittore), disposta in modo da dirigere uno strato d’aria sulla superficie superiore dell’ala stessa; questo dispositivo riduce la turbolenza e facilita l’atterraggio. Gli uccelli, in questo momento, abbassano le penne del margine posteriore delle ali, distendono e muovono in basso e in avanti le penne della coda.

Penna del pittore

La resistenza offerta dall’aria durante il volo raggiunge il suo massimo alla punta delle ali e i suoi effetti vengono ridotti allungando le ali, in modo tale che le loro punte siano quanto più possibile lontane dall’asse del corpo. Con un’ala lunga e stretta la superficie, e pertanto la spinta, rimangono invariate rispetto a un’ala più larga ma più corta.
Per un volo estremamente celere si usano ali piegate indietro, come quelle delle rondini o dei rondoni; quando invece la velocità di volo non è molto importante, ma prevale la necessità di un lungo volo con molta spinta e scarsa resistenza, servono ali lunghe e strette, come quelle degli albatros o dei gabbiani.
L’ala deve servire al tempo stesso come mezzo di propulsione in avanti e come mezzo di sollevamento e sostegno nell’aria: la prima funzione è svolta dalla porzione distale dell’ala (la “mano” dell’uccello), la seconda dalla porzione prossimale dell’ala (il braccio dell’uccello).
Il battito delle ali ha essenzialmente la funzione di impartire la propulsione in avanti, mentre la forma delle ali determina la spinta verso l’alto e il sostegno nell’atmosfera.

Un tipo particolare di volo è quello “librato” dei colibrì, durante il quale la propulsione in avanti è ridotta a zero ed il battito delle ali deve provvedere a tutta la spinta necessaria a mantenere l’uccello sollevato nell’aria, senza avanzamento; il colibrì raggiunge questo effetto disponendo il corpo in una posizione quasi verticale e distendendo le ali come per volare verso l’alto. Benché non si muova verso l’alto, è come se lo facesse, nella misura in cui si oppone alla caduta. Un tale volo librato richiede una frequenza da 40 a 80 battiti d’ala al secondo.
Schema di volo stazionario di un colibrì

Dietro al margine posteriore delle ali di un uccello che vola, si crea una turbolenza dell’aria, vorticante verso l’alto. Alcuni uccelli ne traggono vantaggio nel volare in formazione, battendo all’unisono le loro ali, come fanno per esempio i pellicani.
Le anatre e le oche selvatiche, nei loro voli migratori, utilizzano una formazione a V, in cui ogni uccello mantiene una punta delle proprie ali sulla scia vorticosa provocata dal volo dell’uccello antistante. L’uccello di testa non può avvantaggiarsi di questo aiuto, perciò di tanto in tanto scambia con altri la propria posizione, assumendone una meno faticosa.

 

Curiosità

Il falcone pellegrino (Falco peregrinus), che è forse l’uccello più veloce volatore, è stato accuratamente cronometrato e si è potuto rilevare che raggiunge i 280 km all’ora.
Un Passeriforme montano, la cincia a testa nera (Parus atricapillus), se spaventato durante il volo, può cambiare direzione in 0,3 secondi.
La gracchia alpestre (Coracia graculus) è stata segnalata a più di 8000 metri di altezza, nei pressi del monte Everest.
Una rondine di mare (Sterna fuscata) rimane in mare per alcuni mesi, venendo a riva soltanto nei periodi di riproduzione; è noto che quest’uccello non può riposare a lungo sull’acqua, per evitare di danneggiare le penne. Si deve pertanto concludere che durante il periodo di vita in mare voli quasi continuamente. In un anno può coprire una distanza di 40.000 km.
Un rondone che debba provvedere al nutrimento proprio e di due piccoli, copre giornalmente una distanza media pari a 1000 km, volando incessantemente anche per 14 ore al giorno e raggiungendo i 145 km all’ora. Nei giorni più caldi i rondoni possono portarsi a grandi altezze e, dopo aver passato tutta la giornata in volo, trascorrono la notte ad alta quota, scivolando nell’aria con volo librato, probabilmente sospendendo molte funzioni cerebrali, così da cadere in una sorta di sonno.