IL VINO NELLA LETTERATURA

Sommario
1.   Vino e cultura
    ·        Il vino e lo scolaro
    ·        Gidino da Sommacampagna
2.   Il vino nell'antichità
3.     I latini e il vino
4.     I latini e l'ampelografia. Le origini geografiche del vino retico
5.   Proprietà curative del vino

VINO E CULTURA
 
La breve storiella che segue ha offerto un semplice pretesto per fondere il lavoro scientifico condotto in laboratorio e lo studio della lingua latina che, come si legge nella conclusione, s'accorda perfettamente nella sua forma corretta alla degustazione di un vino che meriti tale appellativo.
 
IL VINO E LO SCOLARO
 
"Un parroco domandò: quomodo est istud vinum?
Lo scolaro assaggiò: Ista vinus est bona.
Il parroco sturò un'altra bottiglia e ripetè: quomodo est istud vinum?
Lo scolaro rispose: Istud vinum est bonus.
Il parroco portò in tavola un'altra qualità, la migliore che avesse, e chiese ancora: quomodo est istud vinum?
Lo scolaro finalmente rispose con convinzione: Istud vinum est bonum.
Morale: Quale vinum tale latinum".
 
Dio voglia che il parroco dispensi sempre allo scolaro…soltanto istud vinum bonum!
Occorre ricordare, però, che est modus in rebus. Gidino da Sommacampagna, letterato vissuto nel Trecento, nella ballata Quivi se pone la forma del suo Trattato deli Rithimi Volgari ricorda che gli effetti del vino possono diventare nefandi se non si beve con moderazione.

GIDINO DA SOMMACAMPAGNA


Quivi se pone la forma dela prima maynera dela ballata piçola.

Chi beve troppo vin, calça la gatta
 
Cossì, per contemplar Dyonisio molto,
l'omo ben saggio se transforma in stolto
e la matrona vien, de savia, matta.
Chi Bacho adora con moderamento,
lo corpo prima fa de ben contento
e l'alma poscia trova in ben rifatta.
Lo sobrio Bacho riconforta l'animo,
l'ingiegno aguzza e fa l'orno magnanimo.
La sobrietate çaschun bene acatta.
Chi con aviditate Bacho adora,
la sua persona strugie e deshonora
e tra le gienti se medesmo smatta.
Lo troppo Bacho la lingua transforma;
ogni virtute per luy muta norma.
L'omo bachato tien de porcho schiatta.
Pero' çaschuno se dé provedere
ch'el non se lasci in tal vicio cadere,
ché la sua mente fia da luy distratta.
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IL VINO NELL'ANTICHITA'
 
Fin dall’antichità il vino si carica di significati allegorici e diviene oggetto di culto. Già nell’antica Grecia si conosceva la pianta della Vite (Vitis vinifera sativa) che veniva distinta dalla pianta selvatica comune.
Molti sono i manoscritti che direttamente o indirettamente ci forniscono prove di un radicato culto del vino legato a divinità tra le quali spicca Bacco, il Dio del vino per eccellenza.
Nella tradizione orientale, Sumerica in modo particolare, la pianta della vite viene descritta come albero della vita ed il vino è simbolo della gioventù e di vita eterna.
Rilevanti sono le testimonianze di una religione della vite e del vino presente presso il lago di Genezareth.
Il Cristo stesso nel Vangelo ce ne dà prova facendo proprio il simbolo della vite.
Anche nella tradizione ebreo-giudaica il vino assume un’importanza rilevante.
La divinità della Luce e della Sapienza, il Redentore viene identificato con la Vite di Vita che è l’albero cosmico "poiché avvolge i cieli dove le stelle sono i suoi acini".
La vite in questo particolare contesto viene altresì usata per differenziare il comportamento di un uomo virtuoso da quello di un empio.
Se l’uomo virtuoso viene paragonato in Geremia ad un tralcio di vite che fruttifica, d’altra parte l’uomo blasfemo è associato ad "un tralcio degenere di vigna bastarda".
 
 
I LATINI E IL VINO

Vari poeti latini esaltano il vino nelle loro liriche. Orazio, in particolare, nei suoi Carmina esalta il dio Bacco come colui che è in grado di confortare nei momenti tristi e difficili, compagno unico e insostituibile per l'uomo. Nel Carme I, 18 egli esorta l'amico Quintilio Varo a coltivare nel suo podere la vite "voce di Dionisio, padre e amore di bellezza" e nel Carme II, 11 invita Quinzio Irpino "a riposare sotto un platano alto e un pino … e bere" perché "il vino… sperde i vecchi pensieri che consumano".
Ma il vino è compagno anche nei festeggiamenti, in quelli rituali ed esaltanti per patria, come si legge nel Carme I, 37 che celebra la definitiva sconfitta della regina Cleopatra ad opera di Ottaviano: "Ora, compagni è tempo di bere, ora è tempo di danzare con piede libero…".
 
Ovidio e Tibullo considerano il vino non solo un potente afrodisiaco, ma anche ottimo ispiratore per la poesia amorosa, consolatore delle pene d'amore. Ovidio, nella sua Ars amatoria, I, 237 - 244 afferma che "Il vino dispone l'animo all'amore e lo rende pronto alla passione" e "Venere col vino è fuoco aggiunto al fuoco". Tibullo, invece, ultilizza il vino per cacciare gli affanni d'amore, anche se con scarso successo (Elegie, I, 5, 37 - 40).
Gaio Valerio Catullo, nativo di Sirmione, aveva apprezzato già nella terra natia i sapori del vino, che viene orrendamente mescolato all'acqua nella capitale, secondo una moda del tempo che ne viola i sapori e la genuinità. Nel carme 27 delle sue Nugae invita un coppiere a versare un calice di Falerno e "tu via, dove vuoi, vattene, acqua rovina del vino; con gli astemi va a stare. Questo è puro Bacco".
 
 
I LATINI E L'AMPELOGRAFIA. LE ORIGINI GEOGRAFICHE DEL VINO RETICO
 
La vite e il vino ebbero un diffusione notevole a partire dalla prima età imperiale. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia, XXII, 114 racconta un aneddoto significativo. Pollione Romilio, ultracentenario, viene convocato dall'imperatore Augusto che, apprezzata la sua prontezza di spirito e la buona salute fisica, gli chiede in che modo fosse riuscito a mantenere tanto vigore. Romilio risponde 'all'interno al vino, all'esterno con l'olio'.
Il vino, nella Roma imperiale, era tanto diffuso che persino gli schiavi ne avevano diritto. Catone, in età repubblicana, già lo somministrava agli schiavi che lavoravano i campi per rendere più celere il loro lavoro (De agricoltura, 57). Insieme con Catone, altri illustri letterati compongono trattati di agricoltura e si interessano deel numero e delle qualità dei vitigni coltivati: Varrone, Virgilio, Columella e Plinio il Vecchio propongono elenchi più o meno dettegliati dei vitigni coltivati nelle varie zone della penisola e fuori da essa. Virgilio in Georgiche, II, 90- 100 cita fra le altre l'uva retica e fornisce più oltre alcuni consigli per coltivare queste viti (Georgiche, II, 397-402). Al tempo di Virgilio si presume che esistesse una certa estensione di coltivazione viticola nella zona di Colà di Lazise, nell'antico Pagus Claudiense. Anche parte dell'agro veronese, con al centro Sommacampagna, si ritiene fosse coltivato a vite, assieme a cereali ed alberi da frutto. Queste aree erano probabilmente circondate da boschi, prati e pascoli. La vite coltivata in questa zona produceva la cosiddetta uva retica. Il vino prodotto veniva conservato in anfore fittili trattate internamente con pece e mandorle amare o altre sostanze aromatiche per renderle impermeabili, ma anche per rendere profumato il vino e conservarlo. In questi recipienti il vino retico veniva portato anche nella capitale. E' lo stesso Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XIV, 16, 3) ad affermare che quest'uva veniva servita anche alla mensa dell'imperatore Tiberio e il vino retico, secondo solo al Falerno, proveniva dall'agro veronese.
Il primo a tentare una classificazione dei vitigni non fu Catone, che si limita a descriverne pochi fornendo notizie non troppo appofondite, ma Columella, che ne individua circa trenta varietà e fornisce chiare indicazioni anche sulla loro coltivazione. In seguito Plinio il Vecchio arriverà a classificare ben ottanta varietà di vitigni.
 
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PROPRIETA' CURATIVE DEL VINO
 
Secondo Gaio Plinio Secondo (Naturalis Historiae, XIV, 150) salute e longevità del corpo sono assicurate dall’assunzione del vino con funzione terapeutica, che se ne occupa internamente, e dall’uso di olii ed unguenti, che agiscono esternamente.
 
Duo sunt liquores humanis corporibus gratissimi, intus vini, fori solei, arborum e genere ambo precipui, sedo lei necessarius; nec segniter in eo vita elaboravit. Quanto tamen in potu ingeniosior fuerit, apparebit ad bibendum generibus centum octoginta quinque, si species vero aestimentur, paene duplici numero excogitatis tantoque paucioribus olei, de quo seguenti volutine dicemus.
Due sono i liquidi maggiormente graditi al corpo umano: per l’uso interno il vino, per quello esterno l’olio, entrambi prodotti importantissimi degli alberi; ma l’olio è necessario, né l’uomo ha lesinato per lui l’impegno. Quando tuttavia egli sia stato più ingegnoso per il bere, si evincerà dal fatto che ha creato centottantacinque qualità diverse di vino, che diventano quasi il doppio, tenendo conto delle varie attività, mentre in numero molto più scarso sono le qualità d’olio, di cui parleremo nel libro seguente.
 

Nel quinto libro di Dioscoride, tradotto e commentato da P.A.Mattioli nel 1568, ci viene data dimostrazione di come il vino, durante i secoli che ci hanno preceduto, sia stato utilizzato come medicamento. Considerato da Dioscoride finissimo "liquore, vero sostentamento della vita nostra, rigeneratore de gli spiriti, rallegratore del cuore, restauratore potentissimo di tutte le facultà, operationi corporali, però meritamente si chiama vite la pianta preziosissima, che lo produce. Ma non però per questo piglino ardire gli ebbriati, sentendomi cui tanto lodare il vino: percioche essendo ogni estremo (come si dice) vizioso, quando si bee oltre quello, che bisogna, causa (come poco qui sotto diremo) horrendi morbi. Et però dico, che bevuto moderatamente conferisce molto annutrimento del corpo, genera ottimo sangue, […] fa buono animo, rasserena l'intelletto, rallegra il cuore, vivifica gli spiriti, provoca l'orina, […] provoca l'appetito, chiarifica il sangue, […] e caccia fuori tutte le cose superflue. Ma bevuto senza modestia, senza regola (come fanno gli ebbriachi) infrigidisse tutto il corpo […].Nuoce al cervello, alla nuca, à i nervi: però causa […] mal caduco, spasimo, stupore, tremore, abbagliamento d'occhi, vertigini, […] letargia, […] tortura. Corrompe dopo questo i buoni, lodevoli costumi […]".

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Inoltre Mattioli definisce questa bevanda con il meritato appellativo "Acqua di vita" attribuendole diverse capacità curative che influiscono positivamente su ogni membro del corpo soprattutto "beendosene ogni giorno un cucchiaro la mattina à digiuno".

Anche il medico Castore Durante nel suo "Herbario nuovo" del 1717 valuta le qualità mediche sia della "vite vinifera". Relativamente alla vite selvatica Durante afferma che la radice bollita nell'acqua e bevuta in due cucchiai di vino annacquato con l'acqua marina, purga l'umidità del corpo. Le donne usano il succo dei suoi acini per abbellire la faccia, cacciare via le lentiggini, e fare cadere i peli. Infine ci presenta la vite vinifera come giovamento alla dissenteria, agli stomaci deboli, agli appetiti corrotti delle donne gravide. Le fronde di questa vite mitigano inoltre i dolori del capo e, mescolate con la polenta, le infiammazioni dello stomaco, aggiungendo anche che il dentifricio prodotto con essa può portare il colore dei denti ad un bianco simile all'avorio.

 
Franceso Pona.jpg (18022 byte) Anche Francesco Pona nel 1631 aveva descritto il vino come il più "communerato tra le medicine. Aureo,odorato, puro in minima quantità: Perch’egli à gran convenienza con gli spiriti, e la Pestilenza, à retta linea si mette à fronte alla Virtù Spirituale per atterrarla. A’ tumori, non doversi applicar materie molto attraenti, mà dolcemente disponesti la materia alla cottione".
 

Nella sua "Opera Omnia", che fu pubblicata nel 1555, il Fracastoro incluse un piccolo trattato dal titolo "De vini temperatura sententia" nel 1534. Esso contiene un giudizio relativo ad una controversia che ebbe luogo fra due medici veronesi, Antonio Fumanelli e Bartolomeo Gaioni, che si erano affidati a lui per sapere se considerare il vino "caldo e umido", come lo riteneva Gaioni, oppure "caldo e secco" come lo riteneva il Fumanelli. A quel tempo erano presenti tali classificazioni conseguenti alle indicazioni ippocratiche.

La caratterizzazione medica degli alimenti dalle differenti caratteristiche "umido, secco, caldo e freddo" era allora collegata ai presunti umori del corpo umano, dunque anche il vino, generalmente considerato "caldo e secco" poteva svolgere un'attività rilevante per il ripristino dell'equilibrio umorale alterato da qualche patologia.

Il Fracastoro affermò che il vino è insieme caldo e secco quindi, dando ragione ad Antonio Fumanelli, non dimenticò di tenere conto delle diverse situazioni. Inoltre, pose in evidenza le proprietà del vino puro e la presenza nella composizione di questo di "particelle" calde e fredde.

Probabilmente questa sua convinzione fu influenzata dal pensiero atomistico che lo portò anche a costruire la "teoria del contagio".

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